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Sa Die de sa Sardigna: un surrogato di qualcosa che la Regione non ha fatto e non fa

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Nell'occasione delle celebrazioni di “Sa Die de sa Sardigna”, riproponiamo una lungimirante e ancora attualissima riflessione di Michele Columbu, pubblicata sull’Unione Sarda del 28 aprile 1996.

*** *** ***

E ora, dopo il 25 aprile, facciamoci Sa die de sa Sardigna. Poi il 1 Maggio, festa del lavoro, affronteremo la grande sagra di S. Efisio.

Ma non confondiamo i giorni: il 25 Aprile, si sa, ricorda la Resistenza e vuole ribadire il nostro impegno di non incorrere in un’altra dittatura – la raccomandazione sempre utile e mai fuori luogo – e la festa cagliaritana del 1 Maggio ci ricorda il sacrificio del cristiano Efisio, che ebbe fede nella croce fino alla morte.

Chi ha fede e carattere non torna indietro.

Come gli antichi sardi: Solu in za morte zédere. Chissà.

Ma ecco che le tre ricorrenze hanno in comune che sono ammonimenti, esortazioni alla fermezza e alla generosità.

Anche il 28 Aprile infatti, poiché si riferisce ai tumulti di Cagliari del 1794, va ricordato a titolo d’onore e d’orgoglio del popolo sardo.

Quei tumulti, oltretutto, furono la premessa dei moti antifeudali che seguirono in quegli anni.

Almeno così si dice a Cagliari, dove le notizie dalla Sardegna arrivano lentamente, ma questo vanto di avere cominciato i “moti” non andate a declamarlo ad Ossi, a Sennori, a Sorso, a Nulvi, a Osilo eccetera, dove i vassalli, già nel 1793, prendevano a calci i dragoni del duca dell’Asinara e si rifiutavano di pagare i tributi.

Quell’anno ’93 nel Golfo degli Angeli si sparava contro i francesi della rivoluzione – pochissimo per la verità – e si difendeva la buia monarchia dei Savoia.

Il medesimo popolo eroico che il 28 aprile allontanò per un trimestre i funzionari piemontesi, con famiglia o no, l’anno prima aveva mutilato sessanta cadaveri di francesi che si erano scontrati e uccisi tra loro durante un temporale notturno al Poetto.

S’intende che questo non toglie niente alla virtù dei nostri avi, perché il popolo siamo così: quando di tagliano testicoli eccetera si tagliano testicoli, e quando si scacciano i piemontesi, la cui “albagia e la sprezzante invadenza” (Carta Raspi, storia della Sardegna) erano insopportabili, allora si cacciano via i piemontesi.

Circa la pratica poi di castrare i nemici morti, nessuno si scandalizzi prima di considerare che il re Davide era un campione nel collezionare prepuzi di filistei.

Io sono certamente persuaso, come il Foscolo, che le urne dei forti accendono il forte animo a egregie cose.

Se poi si scoprisse che i forti della nostra memoria – Amsicora, o Mariano IV, o i patrioti di Cagliari – furono deboli, bè, io non gli toglierei il saluto per questo.

Il mio scarso entusiasmo per la istituzione de Sa die de sa Sardigna non è dovuta al fatto che la scelta del 28 aprile è poco felice, ma piuttosto perché non amo le riesumazioni fredde e poco chiare.

Altrimenti non starei a rompere inutilmente le scatole.

Non mi piace, neppure turisticamente, che la Sardegna resti sola e unica in Italia con una sua Die, ne mi piacerebbe che le altre regioni seguissero il suo esempio.

Ho anche paura di una facile e canzonatoria proliferazione in casa nostra: sa Die de su Logudoro, de sa Trexenta, de sa Baronia o, peggio, de Norbello, de Ollolai, de Arbus.

Con odiosa franchezza, per concludere dirò che Sa Die de sa Sardigna a me pare un surrogato di qualcosa che la Regione non ha fatto e non fa, una maschera e un imbroglio per nascondere altre inadempienze.

 

Michele Columbu (28 aprile 1996)

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