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SIAMO NOI SARDISTI ...

Il partito dei diritti civili e della difesa dei più deboli, siamo noi sardisti.

Il partito della democrazia e della difesa dei cittadini contro la discriminazione, siamo noi sardisti.

Il Partito della tutela della Sardegna costi quello che costi, fino alla morte, siamo noi sardisti.

Così siamo nati e così siamo rimasti.

Rivoluzionari contro il malaffare governativo, repubblicani e azionisti sotto il Regno d’Italia, antifascisti durante il ventennio, europeisti della prima ora, autonomisti nella costituente, schierati per la libertà e per i diritti del nostro popolo sempre, fino alla rivendicazione dell’indipendenza e del federalismo oggi. E così siamo rimasti, fino ai nostri giorni...

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L’accoglienza indiscriminata si é rivelata null’altro che importazione impietosa di esseri umani e la mercificazione della vita stessa

La decisione del Ministro dell’Interno Matteo Salvini di negare l’autorizzazione alla nave Aquarius della ONG "SOS Mediterranee", di approdare nei porti italiani - sollecitando l’intervento delle autorità maltesi adducendo come il porto della Valletta fosse più sicuro e consono per le procedure di accoglienza - ha destato grande e arbitrario scalpore. Il problema riguarda da vicino anche la Sardegna...

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Il mio cuore e la mia politica restano qui: in Sardegna, tra la mia gente. Grazie di cuore a tutti!

Il 28 aprile 2018, Die de Sa Sardinia, nella concomitanza con i 70 anni dello Statuto Speciale, i 97 anni del P.S.d'Az e l'adozione quale inno della Regione Sarda del carme di Francesco Ignazio Mannu "Su patriottu sardu a sos feudatarios", lascio il Consiglio Regionale della Sardegna mentre ricorrono, fatalmente, i simboli più autentici della nostra identità di Popolo, i valori fondanti e riconosciuti di una comunità antica, il vissuto di una Nazione in cammino verso quella che Giovanni Lilliu definì felicemente la "frontiera-paradiso". Da oggi, il mio impegno nelle istituzioni è a Roma, nel Senato, dove i Sardi mi hanno eletto con un consenso lusinghiero ed impegnativo per tutelare interessi e diritti della nostra amata Isola. Ma il mio cuore e la mia politica restano qui: in Sardegna, tra la mia gente. Grazie di cuore a tutti...

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Adiosu, Paolo Pillonca, fizu mannu de Sardigna, fache unu viazu vonu…

Apprendiamo con immenso sgomento e dolore che l'amico Paolo Pillonca oggi ci ha lasciato. Un primo pensiero, affettuoso e commosso, lo rivolgiamo ai suoi familiari, ai quali in queste ore tutto il Partito Sardo d’Azione si stringe compatto in rispettoso e partecipato silenzio, ricordando con affetto i suoi tanti ed appassionati contributi e suggerimenti per le nostre battaglie condivise. Uomo onesto, rigoroso e fine intellettuale di carattere schietto e sincero...

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A Porto Torres il tempo sembra essersi fermato e l’ENI canticchia: “meno male che Wheeler c’è”…

A distanza di 60 anni tanta acqua è trascorsa sotto il Ponte Romano ed il mondo è cambiato radicalmente: è cresciuta la coscienza ambientale di cittadini e amministratori, sono aumentate le conoscenze in materia industriale, vi è stata una evoluzione notevole delle relazioni sindacali, è cresciuto a dismisura il potere decisionale delle realtà locali sulla programmazione del proprio territorio. Eppure a Porto Torres nonostante sia trascorso oltre mezzo secolo, il tempo sembra essersi fermato, con la differenza che al posto di Rovelli, oggi è l’ENI a prendere a braccetto Wheeler per indicargli...

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Graziella Sechi Giacobbe: intellettuale, antifascista, femminista e sardista

Graziella Sechi Giacobbe: intellettuale, antifascista, femminista e sardista Graziella Sechi Giacobbe nacque a Nuoro nel 1901. Ricordata soprattutto per essere stata la moglie del sardista Dino Giacobbe e non già per la propria individualità ricca e originale. Tuttavia conosciuta anch’essa per il suo dichiarato spirito e sentimento antifascista , condiviso con le due dolci ed eroiche amiche Mariangela Maccioni e Marianna Bussalai,  intellettuali, antifasciste, femministe e sardiste che formarono, quella che si definì  la "Triade Femminista Sardista". A Graziella Sechi, Marianna Bussalai dedicherà una poesia pubblicata sulla rivista "Lumen" in occasione del delitto Matteotti intitolata “ A G.S. ardente figlia di Nuoro” dove dietro le iniziali di G.S. si nasconde la vera identità di Graziella Sechi. Da Graziella Sechi e Dino Giacobbe nacquero quattro figli: Giannetto, Simonetta , Caterina e Maria. Figli nati e cresciuti all’insegna dell’impegno civile, della libertà e della giustizia, del desiderio di conoscenza. “Questi sono i valori a cui ci hanno educato mio padre e mia madre, valori universali”, sottolinea Maria, diventata una grande scrittrice, in una nota autobiografica. Determinata, diretta, ma anche brillante e ironica. Dalla raccolta epistolare fra Dino e Graziella durante il periodo dell’esilio negli USA , affiora una famiglia speciale, in cui gli affetti si intrecciano all'impegno politico, condiviso e vissuto come necessità morale prima ancora che adesione a un'idea. Sullo sfondo, quasi in rapporto dialettico, Nuoro sorprendentemente viva e partecipe, più lontano Parigi, mitica culla di ogni libertà, e poi la Spagna sul cui suolo, fascismo e antifascismo si scontravano in un conflitto sanguinoso, reso ancora più drammatico per i repubblicani, dalle degenerazioni dello stalinismo. Il 17 aprile 1937 Graziella subì l’umiliazione del carcere, accusata di militanza contraria al regime, venne arrestata per 26 lunghissimi, interminabili giorni con l’accusa di aver espresso, in una lettera all’amica Mariangela Maccioni, solidarietà e simpatia nei confronti di un giovane orgolese, Giovanni Dettori, soprannominato Bande Nere, ammazzato mentre combatteva in Spagna contro i franchisti. Graziella Sechi nell’interrogatorio in questura afferma ”E’ vero che in quella lettera  manifesto simpatia verso Giovanni Dettori, morto combattendo fra i Rossi in Spagna. Io nutro infatti, simpatia verso tutti coloro che combattono per la propria fede. Mi dichiaro antifascista perché il fascismo non è un regime di libertà…”. Con lei fu arrestata pure l’amica, la maestra Mariangela Maccioni, per 39 giorni. Non contenti degli arresti e delle persecuzioni contro le due antifasciste nuoresi, il giornale della federazione fascista nuorese “Nuoro Littoria” scrive un articolo ingiurioso in cui arriva a chiamarle “due passionarie lesbiche”. Dino Giacobbe sfida a duello l’autore dell’articolo, il federale fascista Mario Canio e questo per tutta risposta lo fa arrestare. “Accetterà il duello più tardi – scrive Manlio Brigaglia – ma il prefetto proporrà che venga arrestato anche lui perché il duello è proibito dalla legge”. Giacobbe sperimenta cosìla violenza degli attacchi sui giornali dopo il carcere e l’emarginazione economica e sociale: privato del suo impiego pubblico, ottenuto per concorso, il fascismo gli rendeva difficile anche l’esercizio della libera professione di ingegnere, situazione che costò numerosi sacrifici a Graziella e tutta la famiglia. A ciò si aggiungeva l’assillante sorveglianza fascista, che rendeva impossibile ogni gesto che non fosse di resistenza passiva. “La nostra capacità di sopportazione si è esaurita”, scriveva Dino in un suo diario. “Ne concludo che con i mezzi legali l’Italia non potrà più scrollarsi la dittatura fascista: chi ne ha la forza deve andare a combattere il fascismo dove questo dà battaglia. Perciò in questo momento in Spagna”. “Di lì a poco – scrive la figlia Simonetta – il 2 settembre del ’37, Dino lascia clandestinamente l’Italia, raggiunge la Francia, governata in quel momento dal Fronte Popolare, col proposito di proseguire per la Spagna dove la guerra civile si era trasformata in uno spaventoso confronto internazionale fra nazifascismo e democrazia. Anche Graziella, che era sulla stessa linea politica, espressa apertamente anche in occasione dell ’interrogatorio che aveva subito in carcere, ben volentieri avrebbe seguito il marito se non avesse avuto quattro bambini da proteggere”. Maria era poco più che una bambina, nuorese di nascita e di sangue, quando pagò caro il prezzo della follia fascista. Il padre Dino era partito per la guerra civile spagnola, poi aveva cercato rifugio negli Stati Uniti d’America, mentre in Europa dilagava il mostro nazista. A Nuoro, intanto, Graziella e la famiglia Giacobbe aspettavano sue notizie via lettera. Lettere che facevano strani giri, passavano per l’Argentina e per la Svizzera, cambiando buste e francobolli così da sviare lo spionaggio italo-tedesco. Nell’anno 1944: Maria, allora figlia-crisalide, aveva seguito la mamma Graziella Sechi nell’avventuroso viaggio da Nuoro al capoluogo sardo nella speranza di trovare un militare americano che la aiutasse a ristabilire i rapporti epistolari con il marito Dino Giacobbe, suo grande amore di sempre . Un’esistenza, quella di Graziella Sechi Giacobbe, dentro una vita vissuta sotto la costrizione della censura, come un processo di testimonianza e di autocoscienza, in verità, non infelice perché sorretta da un’incrollabile fede religiosa e da un immenso amore verso la Sardegna. Si definisce appartenenza, quel sentimento abusato ed esibito oggi, quanto poco praticato nell’agire quotidiano e politico. La bella figura di Graziella Sechi Giacobbe suggerisce e raccomanda alle donne contemporanee, nella ordinarietà della vita familiare, dell’impegno politico, dell’agire quotidiano per l’affermazione dei diritti; la positiva e fiduciosa ricerca del sublime valore della  speranza. Una speranza però, che  non dobbiamo aspettare ci arrivi come la pioggia dal cielo, al contrario ci invita ed incoraggia ad  agire in pienezza di coscienza , sempre ricolma di contenuti efficaci per realizzarla. Dobbiamo agire oggi per i giovani e per le giovani che rappresentano il futuro del Popolo Sardo di domani.  Read more...

Vittorio Tredici, un fondatore del PSd’Az “Giusto fra le Nazioni”

Vittorio Tredici, un fondatore del PSd’Az “Giusto fra le Nazioni” Ufficiale combattente decorato al valor militare nella Grande Guerra, Vittorio Tredici (Iglesias 1892 – Roma 1967) fu uno dei più importanti fondatori del PSd’Az e animatore del sardismo cagliaritano nel primo dopoguerra. Dopo aver combattuto lo squadrismo con le camicie grigie sardiste al fianco di Emilio Lussu, in seguito aderì al sardo-fascismo con Egidio Pilia, Giovanni Cao, Enrico Hendric e Paolo Pili, che sognavano di influenzare in senso autonomista e sardista il fascismo isolano. Fu prima commissario prefettizio (1924-1926) e quindi Podestà (1927-1920) di Cagliari, dove operò con onestà ed efficienza. Esperto di questioni industriali e minerarie fu imprenditore, dirigente sindacale di Società ed Enti del settore, Deputato al Parlamento del Regno. Trasferitosi a Roma operò sino a cadere in disgrazia presso il fascismo per la sua opposizione all’entrata in guerra e alle politiche razziste del regime. Deluso, meno oberato da impegni politici e di lavoro, prese parte attiva alla vita della sua parrocchia di Santa Lucia, circonvallazione Clodia. Il parroco Ettore Cunial, suo intimo amico, raccontava che Tredici era il “factotum dell’Azione Cattolica e delle opere di carità della Parrocchia”. Il parroco aveva dato vita, per venire incontro ai più poveri, alle Comunità di palazzo che durante l’occupazione tedesca furono la base della rete di soccorso e resistenza nella quale Vittorio ebbe un ruolo di rilievo. Dal 16 ottobre 1943, giorno d’inizio della razzia nazista nel Ghetto romano, Tredici e la sua famiglia salvarono famiglie di Ebrei che evitarono così di essere uccisi nei lager di sterminio nazisti e furono aiutate anche dopo la Liberazione di Roma. Quella mattina, una giornata grigia e fredda bagnata da pioggia insistente, un camion di militari tedeschi si fermò in via Sabotino 2a, di fronte all’abitazione di Tredici. Era coperto da un telone scuro. Alcuni curiosi si erano fermati ad osservare la scena. Non si trattava di un normale trasporto di truppe. Il camion era pieno di civili, uomini, donne, vecchi e bambini. Era iniziata la grande razzia degli Ebrei romani nella Roma occupata dai nazisti. Prima dell’alba i tedeschi avevano bloccato le vie d’accesso alla zona e iniziato a portare via le famiglie, casa per casa. Nell’azione erano impegnate, oltre a un commando inviato da Adolf Eichman e guidato dal suo collaboratore fidato Denneker, alcune compagnie messe a disposizione dal comandante la piazza di Roma Stahel: 365 uomini. Gli italiani fascisti erano stati impegnati nell’organizzazione logistica. La città era stata divisa in 26 settori. In ognuno era operativa una squadra con camion che si muovevano in base ad un elenco nominativo su cui era indicato l’indirizzo di ogni famiglia ebrea. I militari tedeschi cercavano in via Sabotino la famiglia Funaro: l’unica famiglia di ebrei nel palazzo. Il portiere avvisò i Funaro che si precipitarono fuori di casa, un appartamento al quinto piano. Con l’ascensore scesero al primo mentre i tedeschi salivano le scale. Il portiere li nascose prima nel vano dell’ascensore e avvertì Vittorio Tredici che li fece entrare nel suo appartamento, dove viveva con la moglie e i nove figli. I tedeschi in casa Funaro trovarono solo Rodolfo, il padre di Vittorio Funaro, malato e immobilizzato. Il portiere disse loro che aveva una gravissima malattia infettiva e i tedeschi lasciarono lo stabile di via Sabotino a mani vuote. Il camion, dopo essersi fermato agli altri indirizzi della zona, si diresse verso Sud per il lungotevere e a mezzogiorno raggiunse il punto di raccolta nel Collegio militare in Via della Lungara. Qui 1265 persone -chi ancora in camicia da notte, chi vestito alla meglio- sotto la minaccia delle armi (donne, bambini, uomini anziani) vagavano per gli stanzoni cercando conforto. Dopo due giorni  furono deportati ad Auschwitz su carri bestiame piombati. Ritornarono soltanto in quindici. I Funaro nella casa di Tredici ripresero fiato. Rodolfo salì nel suo appartamento a prendere il padre malato e con l’aiuto di Tredici trovò una sistemazione per la moglie Virginia e il figlioletto Massimo in un istituto di Suore a Monteverde. Rodolfo, il padre e la madre Ester Gay si rifugiarono altrove. Successivamente Vittorio Tredici collaborò col parroco Cunial per nascondere ebrei, ricercati e partigiani nei locali della chiesa. Tredici era un cattolico praticante e frequentava la Parrocchia soprattutto dopo che il fascismo lo aveva respinto per la sua opposizione alla guerra e alle leggi razziali. Per questo poté partecipare a una delle reti di aiuto agli Ebrei in fuga che vide laici e religiosi operare a Roma assieme per salvare tanti Ebrei dai nazifascisti. L’attività di Tredici e del suo parroco non era un’eccezione nella Roma occupata che vide moltissimi Romani trovare un coraggio e una determinazione che forse neppure i tedeschi sospettavano, e che dimostrarono come le leggi razziali fossero respinte dalla maggioranza della popolazione. Oltre 4000 ebrei furono salvati dalle reti della chiesa cattolica e dai cittadini sino a quando gli Angloamericani entrarono nella Città eterna il 4 giugno del 1944 e la liberarono. L’attività di Vittorio Tredici si estese al sostegno della Resistenza a Roma, con grande rischio della vita sua e della famiglia. Nel dopoguerra una sentenza riconobbe che tutte le attività dl Vittorio Tredici durante il regime fascista erano state di natura tecnica e Vittorio fu assolto da ogni responsabilità. In seguito un provvedimento della Sezione speciale per le epurazioni del Consiglio di Stato lo reintegrò nel lavoro. Per le sue attività umanitarie, per aver rischiato la vita nel salvare da morte sicura famiglie di Ebrei, Vittorio Tredici ottenne postumo il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni che gli fu conferito il 16 giugno 1997. L’ambasciatore israeliano in Italia consegnò ai familiari una medaglia e un attestato il 20 novembre del 1997, il suo nome fu iscritto sul Muro d’onore o Muro dei giusti nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem a Gerusalemme. La memoria di questi Giusti -anche altri Sardi lo furono- non deve andare perduta.  Read more...

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