Storia

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Le origini: dal Movimento dei Combattenti alla fondazione del Partito

 

Già nel maggio 1918, a guerra non ancora conclusa, sotto pseudonimo, Umberto Cao pubblicava l’opuscolo Per l’Autonomia!. Era il segnale che intorno all’esperienza della guerra era possibile formulare un progetto politico all’interno di una più generale questione sarda. L’organizzazione dei reduci è a Sassari sotto la guida del tenente Camillo Bellieni (e del pari grado Arnaldo Satta-Branca, figlio di Pietro, comproprietario del quotidiano La Nuova Sardegna, di impostazione democratico-repubblicana), mutilato di guerra, amico di Gaetano Salvemini. Il 16 marzo 1919 fonda a Sassari il settimanale La Voce dei Combattenti, mentre a Cagliari già dal febbraio 1918 veniva pubblicata la rivista Il Popolo Sardo; l'agosto dell'anno successivo nasce, sotto la direzione di Vitale Cao, Il Solco.

Le prime assemblee dei combattenti sardi (in collegamento con le associazioni del resto d’Italia, che al Primo Congresso Nazionale di Roma dal 22 al 27 giugno del 1919, si danno il primo programma politico, il cosiddetto Programma Zavattaro), che si svolgono a Nuoro (25 maggio 1919) dalla quale nasce la Federazione Sarda dell'Associazione Nazionale Combattenti, e a Macomer (14 settembre 1919), definiscono la struttura dell’associazione, ma soprattutto dibattono sull’eventualità di presentarsi come movimento alle elezioni politiche del 16 novembre 1919. La proposta di Emilio Lussu, eroe di guerra, capo carismatico dei reduci, di aprire il movimento a personalità esterne ai combattenti, si rivela decisiva. La lista Elmetto, porta all’elezione di tre parlamentari, Mauro Angioni, Pietro Mastino e Paolo Orano, intellettuale di origine sarda vicino alle istanze del sindacalismo rivoluzionario.

I temi programmatici della Federazione Sarda dei Combattenti, dal Primo Congresso Regionale di Nuoro, ruotano intorno alla richiesta per la Sardegna dell’autonomia amministrativa (subordinata al controllo del governo centrale). Ma già al Congresso Nazionale di Roma, Efisio Mameli (professore di Chimica all’Università di Sassari, delegato regionale dell’Associazione, fratello della madre di Italo Calvino), chiede per la Sardegna autonomia finanziaria in aggiunta all’autonomia amministrativa. L’anno seguente si celebra il Terzo Congresso Regionale dei Combattenti Sardi a Macomer (8-9 agosto), fortemente condizionato dagli strepiti dell'impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio. Il Congresso dà alla luce la Carta di Macomer (a firma di Emilio Lussu e Lionello De Lisi; è probabile che alla stesura abbia contribuito Paolo Orano), dove viene ribadito il principio di una Sardegna assolutamente autonoma, che ritrovando in se stessa il germe di nuova vita, si costituisce federandosi a uno Stato repubblicano. In autunno in Sardegna si svolgono le elezioni provinciali: a Sassari la lista dei combattenti conquista la maggioranza, l’onorevole nuorese Pietro Mastino diventa Presidente del Consiglio (questa maggioranza non durerà però a lungo e dopo sei mesi entrerà in crisi, anche per l'ostilità di Bellieni verso la Monarchia).

Ma chi preme per un superamento della struttura associativa e una trasformazione di essa in un vero e proprio partito politico è Camillo Bellieni: “Partito e non fascio o blocco o lega perché l’organizzazione deve avere un carattere ben fermo di movimento disciplinato, ed una funzione storica, non determinata da particolari contingenze dell’ora”. Il 16 aprile del 1921 nella sala dell’ex-convento degli Scolopi di Oristano si apre il Quarto Congresso dei Combattenti Sardi. In mezzo ad alcune perplessità (tra cui quella di Lussu e del gruppo cagliaritano, non troppo convinto sulla trasformazione del movimento in partito), Bellieni propone quattro punti programmatici (Sovranità Popolare; Autonomia Amministrativa; Libertà di commercio o Autonomia Doganale; Questione Sociale) da approvare senza riserve. I documenti ricevono votazione favorevole (allorché vengono considerati in armonia con la Carta di Macomer). Il 17 aprile 1921 nasce ufficialmente il Partito Sardo d'Azione. Camillo Bellieni ne è il primo Direttore.


Ideologia politica e sociale

 

Il Primo Congresso del Partito Sardo d’Azione porta a galla le varie anime che già erano emerse nei precedenti Congressi dei Combattenti. Da una parte la figura di Camillo Bellieni, di robusta formazione filosofica, sensibile alle tematiche meridionaliste, nonché amico di Gaetano Salvemini, dall'altra il gruppo gravitante su Cagliari, espresso dalle figure di Emilio Lussu, Paolo Orano e Egidio Pilia, portatori delle istanze del sindacalismo rivoluzionario. Bellieni intende il suo progetto politico come rinnovamento rispetto a un passato che la guerra ha di fatto portato alla dissoluzione. L’alternativa federalista da lui auspicata, tramite l’unione di partiti regionali sorti nel dopoguerra, avrebbe puntato a una ricomposizione statuale, contendendo l’agone politico alle camarille liberali di stampo giolittiano e ai socialisti (visti unicamente nella veste di rappresentanti della classe operaia settentrionale). Il federalismo di Bellieni non si limitò all’Italia, bensì si manifestò come proiezione in chiave europea: da ciò i suoi assidui richiami alla Corsica, alla Catalogna, alla Provenza, e al suo progetto per la costituzione di una futura Federazione Mediterranea. Le idee del Bellieni riscossero successo tra i sardisti sassaresi e nuoresi, in quanto si accordavano maggiormente con l’ambiente economico-sociale della parte centrosettentrionale della Sardegna. Infatti la saldatura tra intellettuali, professionisti borghesi e pastori indipendenti (proprietari di terre o proprietari di bestiame), a cui guardava Bellieni, rispecchiava la composizione socioeconomica del Nord dell’Isola; a differenza del Meridione sardo, dove i sardisti cercarono le loro ragioni nelle lotte dei contadini e dei braccianti agricoli. La componente fondamentale della dottrina economica del sardismo è quella che si rifà alle analisi di Attilio Deffenu (cooperativismo, liberismo economico, antiprotezionismo).

 


Il Sardismo e l'avvento del Fascismo

 

Il primo banco di prova per il nuovo partito furono le elezioni del maggio dello stesso anno. Radicato in tutta l'isola, grazie al fatto che buona parte delle sezioni dei Combattenti (che, nelle vesti di organizzazione autonoma, erano ancora in vita) si erano convertite in sezioni del Partito, e guidato da leader carismatici, il Partito Sardo d'Azione si rivelò come il primo vero partito di massa della Sardegna. Con circa 1/3 dei consensi elettorali dell'isola, raccolse più del doppio dei voti socialisti (12,4%) e quasi tre volte quelli del PPI (11,3%). Ai riconfermati Pietro Mastino e Paolo Orano, si aggiunsero Umberto Cao (l'autore dell'opuscolo Per l'Autonomia! e zio del fondatore del Solco) e Emilio Lussu. Fu invece una vera e propria debacle per le liste dei Combattenti nel resto d'Italia. Pur consapevole della difficoltà in cui versava il movimento autonomistico nella penisola, Bellieni, al II Congresso del Partito, svoltosi a Oristano nel gennaio 1922, intravede ancora un'Italia "riordinata su basi federali con la conquista delle autonomie regionali".

Si erano intanto, anche in Sardegna, formati i primi fasci di combattimento, che avevano però scarso seguito (visto il quasi totale monopolio che esercitava il Partito Sardo d'Azione nelle file degli ex-Combattenti). Il salto di qualità del Fascismo isolano lo si ebbe ad opera dell'industriale Ferruccio Sorcinelli, proprietario di alcuni siti minerari nel Sulcis e del quotidiano cagliaritano l'Unione sarda. Nella zona del Sud-Ovest dell'Isola, ricca di miniere, che rappresentava il vero serbatoio elettorale del socialismo sardo, dunque la comparsa del primo Fascio della Sardegna, grazie al finanziamento di Sorcinelli, rivolse la propria azione in funzione esclusivamente anti-operaia.

L'appuntamento con il III° Congresso del Partito è preceduto dalla sconfitta dei Sardisti nelle nuove elezioni del Consiglio Provinciale di Sassari che, a causa dell'intransigenza del Bellieni nei confronti della Monarchia, perde la maggioranza consiliare (alienandosi, per questo, i consensi degli ex-combattenti particolarmente sensibili verso la Casa Reale) e dall'adesione in massa delle Associazioni Combattentistiche della penisola al Fascismo. Il Congresso si svolge a Nuoro il 28 e 29 ottobre con una massiccia presenza della forza pubblica. Le formule di rito, le relazioni e le discussioni cedono il passo all'attesa di notizie riguardo alla Marcia su Roma, che si sta consumando in contemporanea. L'incertezza e la preoccupazione domina il Congresso, sentimenti confermati in una riunione post-congressuale dei massimi dirigenti del Partito; secondo la testimonianza di Dino Giacobbe prevalse tra loro una linea attendista (ancora non era chiara la posizione della Monarchia e dell'Esercito) rispetto a una linea più radicale che contemplava perfino una separazione della Sardegna dall'Italia, come riportavano quei giorni alcuni giornali esteri. La fine dello stato d'assedio e il successivo incarico di primo ministro a Benito Mussolini, decretò la vittoria dei fascisti.

La decisione di non cedere la piazza ai fascisti, vittoriosi nel resto d'Italia, confermò una volta per tutte l'egemonia che i sardisti esercitavano ancora nelle file degli ex-combattenti: durante le celebrazioni del IV° anniversario della vittoria, il 4 novembre 1922, a Cagliari, 20.000 reduci sfilarono al seguito della Bandiera dei Quattro Mori; i fascisti presenti vennero espulsi dal corteo e costretti a riparare sotto la protezione della Polizia. I mesi seguenti videro fascisti e sardisti confrontarsi nelle piazze. Allo sbarco di Camicie Nere dal continente (famoso fu quello di circa 200 fascisti a Olbia, provenienti da Civitavecchia), il Partito Sardo rispose, data la quasi totale inerzia delle forze di polizia, dotandosi di una formazione paramilitare: le Camicie Grigie. Dopo il ferimento di Emilio Lussu durante un comizio e l'incendio della redazione del quotidiano del Partito "Il Solco", si arriverà alla tragica uccisione di Efisio Melis, ardito sardista.

Per porre fine ai subbugli e alla situazione di stallo in cui rischiava di impantanarsi la Sardegna, Benito Mussolini inviò in Sardegna, in qualità di prefetto, il generale Asclepia Gandolfo, decorato di guerra e persona che godeva di particolare stima negli ambienti degli ex-combattenti sardi. Il piano ambizioso prevedeva la fusione del Psd’Az nel Partito Nazionale Fascista (PNF), attraverso la soppressione delle squadre fasciste finanziate da Sorcinelli, con l'obiettivo dichiarato di consegnare il potere nelle mani di una nuova classe dirigente, sorta alla fine della guerra, quale era quella sardista. Il combattentismo e l'avversione per la precedente classe politica liberale furono il terreno fertile sul quale imbastire le trattative: il vertice del Partito designò Emilio Lussu quale delegato a negoziare le proposte del generale Gandolfo. Totalmente contrari all'accordo, oltre naturalmente al Sorcinelli, furono gli irremovibili Camillo Bellieni e Francesco Fancello, così come si pronunciarono contro le sezioni sardiste di Nuoro, Alghero, Tempio Pausania; la sezione del Psd’Az diSassari, la città del Bellieni, chiese la convocazione di un Congresso per denunciare le lusinghe del PNF. Nonostante ciò, avvennero le prime defezioni, soprattutto tra i quadri intermedi del Partito: lasciarono il Psd’Az per aderire al Fascismo: Enrico Endrich, Nicola Paglietti, Vittorio Tredici, Egidio Pilia e Giuseppe Pazzaglia.

L'incedere incerto e ricco di ombre di Lussu, che depose l'incarico di delegato a trattare coi fascisti, minacciando addirittura le dimissioni da deputato, precede il Congresso straordinario che si tenne a Macomer ai primi di marzo del 1923. Chiesto con forza dal gruppo sassarese che, per bocca dei loro leader Fancello e Bellieni, sconfessò apertamente l'atteggiamento di Lussu e aperto da una lettera dello stesso Bellieni, gonfia di "disprezzo per i disertori", vide fronteggiarsi due mozioni: quella anti-fascista, e quella dei sostenitori della fusione col PNF. La prima, largamente vittoriosa, concedeva però ancora spazi di dialogo col governo in carica. Fu propria su questa ambiguità (che rimarcava ancora una volta la titubanza e l'attendismo dei dirigenti del partito) che si consumò il trauma dell'abbandono di uno dei massimi dirigenti come Paolo Pili, che passò qualche mese più tardi tra le file del Fascismo.


Il Sardo-Fascismo e la resistenza al Regime

 

L'ambizione di Pili, ormai uomo forte del Fascismo in Sardegna, fu quella, neanche tanto nascosta, di sardizzare il Fascismo: attuare attraverso la copertura fascista, i programmi del Sardismo. I sardo-fascisti (espressione ironica che i fascisti della prima ora affibbiarono ai nuovi fascisti di estrazione sardista) ripresero alcuni cardini di politica economica che il Sardismo aveva ereditato soprattutto da Attilio Deffenu: la formazione di cooperative di produttori del settore caseario mise fine al monopolio degli industriali del settore (provenienti per la quasi totalità dalla penisola) e così, nelle intenzioni del Pili, sarebbero dovute realizzarsi le cooperative agricole, col supporto di Casse Comunali di Credito Agrario, che sarebbero dovute nascere e svilupparsi in modo capillare in ogni centro dell'isola. L'apice del successo del cosiddetto sardo-fascismo (del quale non si deve dimenticare il sostanzioso aiuto da parte del governo, che stanziò per la Sardegna un miliardo di lire da spendere in opere pubbliche) fu il viaggio che lo stesso Pili intraprese nel marzo del 1926 negli Stati Uniti d'America. Lo scopo, raggiunto, fu quello di aprire un canale di mercato per i prodotti agricoli sardi, soprattutto quelli caseari. Pili strappò contratti estremamente vantaggiosi. Ma il ritorno in Sardegna fu amaro. La reazione degli industriali non si era fatta attendere e tutte le opere del Pili vennero stravolte con la complicità del Regime. La formula del sardo-fascismo crollò: Pili perse la leadership del Fascismo nell'isola, venne espulso dal PNF l'anno seguente e perseguitato durante tutto il resto del Ventennio.

Il 27 settembre 1925 si svolse a Macomer il V° Congresso del Partito che lo storico Girolamo Sotgiu definì "la manifestazione antifascista più importante che si sia svolta nel paese quell'anno". I 250 congressisti confermarono la vitalità del sardismo, ribadendo, al termine dell'assemblea, la ferma opposizione al Fascismo quale "antilibertario, accentratore e protezionista". All'assise sardista si presentò Ruggero Grieco quale latore di un messaggio di Antonio Gramsci, nel quale si invitava il Partito Sardo d'Azione a farsi promotore dell'unità tra contadini e operai. Grieco fu però fermato dal servizio d'ordine del Partito e non poté leggere la comunicazione. Il 20 ottobre dell'anno seguente Emilio Lussu reagì al tentativo di aggressione da parte di alcuni fascisti, penetrati nella sua abitazione di Cagliari, con l'uccisione di un giovane squadrista. Per questo fatto fu condannato all'esilio nell'isola di Lipari, dalla quale, attraverso un'azione rocambolesca compiuta insieme a Carlo Rosselli e Fausto Nitti, riuscirà a fuggire il 27 luglio 1927. In seguito alle leggi del Regime che limitavano le attività delle associazioni, il Partito, per evitare rappresaglie agli iscritti, il 23 dicembre del 1925, decise lo scioglimento delle sezioni (tenendo però attiva la Direzione) ed entrò in clandestinità (furono due i congressi celebrati in clandestinità). Alcuni dirigenti seguirono il percorso di Lussu, legandosi all'antifascismo europeo. Tra questi Francesco Fancello, Stefano Siglienti e Dino Giacobbe. Quest'ultimo parteciperà alla guerra civile spagnola, al comando di una batteria con le insegne dei quattro mori; nella stessa guerra troverà la morte il sardista Giuseppe Zuddas. Altri continueranno la propria orgogliosa militanza resistendo ai soprusi del Fascismo: Luigi Battista Puggioni, che ricoprirà la carica di Direttore del Partito durante gli anni del Regime, assisterà alla distruzione del proprio studio di avvocato, il giovane Giovanni Battista Melis (che sarà noto anche col nome di Titino) venne incarcerato nel 1928 a Milano e rispedito in Sardegna, Camillo Bellieni fu costretto a un'esistenza precaria in giro per l'Italia sotto la stretta sorveglianza della Polizia.


Dalla caduta del Fascismo alle elezioni del 1948

 

L'arrivo degli Alleati il 29 settembre 1943 risparmiò all'isola le tragedie della guerra civile (seppur nello stesso anno la Sardegna subì ugualmente i disastrosi bombardamenti degli anglo-americani). Sotto il Regno del Sud, in Sardegna (Regio Decreto n. 21) venne istituito l'Alto Commissariato italiano della Sardegna alle dirette dipendenze del Capo del Governo Regio. L'incarico, fino alla primavera del 1949, fu affidato al generale di squadra aerea Pietro Pinna. In una Sardegna praticamente isolata dal resto d'Italia, il Partito Sardo d'Azione si avviò verso la ricostituzione. Dopo un congresso clandestino, celebratosi a Bono il 21 giugno 1943 a guerra non ancora ultimata, nel novembre dello stesso anno, uscì a Sassari, a opera del Direttore Luigi Battista Puggioni, i Lineamenti del programma politico del Partito Sardo d'Azione. In questo opuscolo vennero ribaditi i valori storici e i programmi del Partito: missione storica dei Sardi, richiesta dell'autonomia amministrativa, cooperativismo.

Grazie alla presenza capillare dei suoi dirigenti, in poco tempo il Partito riuscì a costituire 251 sezioni e a contare circa 37.000 iscritti. Erano due le aspettative che animavano la base sardista: l'arrivo del capo carismatico Emilio Lussu dopo gli anni dell'esilio e dell'impegno nella guerra partigiana e la convocazione di un congresso. Dopo la caduta del Fascismo l'idea di una separazione totale dall'Italia (idea amplificata dall'isolamento che gravava sull'isola) divenne maggioritaria nei sardisti; proprio la venuta di Lussu sarebbe stata la scintilla che avrebbe instaurato una Repubblica indipendente sarda. Lussu arrivò a Cagliari il 30 giugno del 1944, accolto trionfalmente. Ma nei comizi che tenne in tutta l'isola, deluse la base dalle propensioni indipendentiste, cercando, al contrario, di coinvolgerla in un più ampio discorso di guerra partigiana. Lussu ripartì dopo alcuni giorni di soggiorno nell'isola per raggiungere la penisola. La celebrazione del VI° congresso si svolse un mese più tardi a Macomer, dove delegati festanti arrivarono da ogni parte dell'isola con mezzi di fortuna. La fazione indipendentista capeggiata da Giuseppe Barranu, Michele Columbu, Antonello Bua aveva con sé la maggioranza del Partito, ma la dirigenza, sotto precisa indicazione di Lussu (era invece assente, bloccato nella penisola, Camillo Bellieni) e col contributo decisivo di Francesco Fancello, fece approvare un documento che nel bloccare le ambizioni separatiste tendeva a legare i sardisti alle iniziative del Partito d'Azione. Il confronto era però solamente rimandato. A riaccendere le polveri furono i cosiddetti "fatti di Piazza Yenne". Il 18 gennaio del 1945 a Cagliari, a seguito di alcune voci che invitavano i giovani sardi alla chiamata alle armi per compiti di facchinaggio a fianco degli Alleati, una manifestazione di protesta sfociò in disordini e arresti indiscriminati ai quali seguirono assalti alle caserme e ai commissariati. Buona parte degli oratori e degli arringatori della protesta proveniva dal movimento giovanile sardista. Inoltre il dibattito sul separatismo infuocava le pagine della rivista sassarese "Riscossa". Il congresso indetto per il marzo 1945 avrebbe dunque chiarito le posizioni istituzionali e di politica-sociale. Alla contrapposizione tra autonomisti e indipendentisti si aggiungeva dunque quella di chi era favorevole a sposare posizioni di tipo socialiste e marxiste e chi propendeva per le classiche posizioni di teoria economica sardista. La presenza questa volta di due figure carismatiche quali quelle di Emilio Lussu e Camillo Bellieni infiammò il congresso. Il primo spinse per il ripudio totale del separatismo e per l'abbraccio verso posizioni di economia di tipo socialista, il tutto in conformità con gli orientamenti del Partito d'Azione, del quale il Partito Sardo sarebbe stata la versione isolana. Totalmente contrario si mostrò Bellieni per il quale la soluzione istituzionale sarebbe stata da vagliare dopo l'esito della forza elettorale del partito e inoltre il teorico del sardismo si mostrò ferocemente avverso alle prospettive di fusione col Partito d'Azione. L'unione delle relazioni di Puggioni, Salvatore Cottoni, Gonario Pinna, Bartolomeo Sotgiu e Luigi Oggiano scaturì nella mozione finale che parlava di repubblica federale e riforma agraria; prima però della conclusione del congresso Lussu chiese l'approvazione di un ordine del giorno della sezione di Cagliari di chiara impronta azionista, ma il documento venne clamorosamente bocciato dai 2/3 dei delegati, provocando l'ira di Lussu che abbandonò la sala con alcuni sardisti provenienti dal Partito d'Azione, proprio nel momento in cui Bellieni parlava dalla tribuna. La direzione uscente fu riconfermata e si adoperò in tutti i modi per ricucire lo strappo con Lussu, che avvenne qualche mese più tardi, ma le tensioni interne vennero solamente rimandate, anche perché incombevano le prime elezioni libere, quelle amministrative e quelle per l'Assemblea costituente.

Il banco di prova per misurare la reale forza del partito diede dati abbastanza disomogenei: il partito si mostrava forte nel nuorese, con percentuali che superavano quelle delle sinistre, e a Cagliari e nel suo hinterland. Nelle prime elezioni comunali del capoluogo dopo la guerra i sardisti ebbero col 21,5% un punto in meno dei socialcomunisti. Diversa era la situazione nel sassarese dove a una fortissima Democrazia Cristiana e al blocco socialcomunista, si affacciava la formazione dell'Uomo Qualunque, che guadagnava una parte dei consensi del ceto medio (si era inoltre aggiunta una formazione dichiaratamente indipendentista, la Lega Sarda, fondata da un ex-sardista, Bastià Pirisi). Le elezioni per l'Assemblea costituente confermarono questa tendenza: una buona forza nel cagliaritano (seppur con un arretramento di consensi a vantaggio dell'UQ), straripante nel nuorese, dove ottenne 1/4 dei consensi, secondo solo alla Democrazia Cristiana, e ancora un indebolimento nel sassarese e soprattutto nella Gallura (7,5% su scala provinciale). Col 15% regionale, il Psd’Az, elesse due rappresentanti: Emilio Lussu e Pietro Mastino. L'obiettivo fu quello di formulare uno Statuto regionale che esaltasse la specialità dell'isola, così come era negli intendimenti del sardismo del primo dopoguerra. Un cammino avviatosi con l'insediamento della prima Consulta il 29 aprile 1945 che, a composizione paritetica dei partiti, affiancava il lavoro dell'Alto Commissario. Le prime elezioni libere avevano dato una misura della reale forza dei partiti, con un predominanza della DC e maggiori consensi del PCI nei confronti del Psd’Az, che perdeva dunque la propria centralità nello scenario politico sardo. La discussione sullo statuto autonomo ebbe una svolta il 7 maggio 1946 con la proposta di Lussu e Mario Berlinguer di estendere anche alla Sardegna lo Statuto siciliano che garantiva un'ampia autonomia: la proposta venne bocciata e i consultori sardisti, contrariamente alle indicazioni della direzione del partito votarono clamorosamente contro.

L'VIII congresso, aperto dal segretario Giovanni Battista Melis, che aveva sostituito il dimissionario Puggioni nel giugno 1945 (che aveva preferito dedicarsi al giornale del partito "Il Solco" che, da Sassari, dirigeva con successo insieme a Bartolomeo Sotgiu), oltre agli strascichi della vicenda dello Statuto, si portava appresso i primi nodi della costruzione della nuova Italia repubblicana. Furono portati all'attenzione i casi dell'ALAS di Macomer, della compagnia di navigazione Sardamare e della compagnia aerea Airone. Inoltre continuava la discussione, che aveva visto un interessante scambio di opinioni tra Gonario Pinna e Lussu, intorno alla questione sociale del partito e a una politica rivolta verso i "ceti medi". Il congresso diede indicazioni affinché il partito si desse una struttura più centralizzata e efficace. La scelta, a suo tempo, di Melis, che, per volere di Lussu, aveva rimpiazzato a Cagliari il vuoto dirigenziale dopo l'abbandono di Angioy e della fazione indipendentista, si rivelò azzeccata.

Gli avvenimenti successivi all'VIII congresso furono il riflesso delle note vicende italiane e mondiali. La scissione di Palazzo Barberini e la fine del III Governo De Gasperi, con l'allontanamento dei socialcomunisti dall'area di governo, videro Lussu impegnato nel traghettare ciò che restava del Partito d'Azione nel PSI, per rafforzare il blocco delle sinistre. Il Psd’Az si trovò disorientato dall'azione del suo uomo di maggior prestigio. Le intenzioni di Lussu erano quelle di portare il Partito Sardo d'Azione nell'alveo del socialismo italiano, tramite un patto federativo, ma dichiarò d'esser pronto a subordinare questa scelta dopo il congresso del partito. Ai sardisti dunque fu offerta l'adesione al Fronte Democratico Popolare nella composizione di liste comuni in funzione anti-democristiana e antiamericana. Il Direttorio, riunitosi a Macomer il 18 febbraio 1948, respinse ogni possibilità di accordo coi socialcomunisti e con altre forze politiche, ribadendo d'esser l'unica forza politica a difesa del popolo sardo. Nelle storiche elezioni del 18 aprile del 1948 il Psd’Az, subì un vistoso arretramento di consensi (10,3%); tuttavia riuscì a eleggere un deputato, Giovanni Battista Melis, e un senatore, Luigi Oggiano.


Il IX congresso, la scissione di Lussu e la prima fase dell'Autonomia

 

Le elezioni del 1948 presentarono un Psd’Az sostanzialmente diviso in due: la fazione favorevole a un'intesa con il blocco delle sinistre e quella orgogliosamente autonomista. A nemmeno un mese dalle elezioni, il Direttorio fissò la data del prossimo congresso, che si sarebbe dovuto svolgere a Cagliari il 3 e il 4 luglio. Un primo atto della battaglia interna fu il congresso della sezione cagliaritana che vide il predominio dei lussiani e la sostituzione del presidente della sezione, il professor  Pietrino Melis, fratello di Giovanni Battista, con l'avvocato Giuseppe Asquer. Le mozioni depositate furono 5: quella dei lussiani, denominata "Mozione Socialista Autonomista", la "Mozione Sardista" degli autonomisti, una mozione di matrice terzaforzista a firma di Gonario Pinna, una mozione della federazione giovanile cagliaritana e una mozione presentata da Emilio Fadda, di orientamento conservatore. La prima, che intendeva il Psd’Az come partito di classe e inserito nel movimento internazionale della sinistra, fu sottoscritta oltre che da Lussu, da Dino Giacobbe,Giuseppe Asquer, Anton Francesco Branca, Armando Zucca, e si presentava particolarmente forte nella provincia di Cagliari, tradizionale bacino elettorale di Lussu; la seconda rivendicava l'adesione ai principi originari del sardismo e propugnava una sostanziale inconciliabilità con i partiti italiani, fu sottoscritta da Pietro Mastino, Luigi Oggiano, Salvatore Sale, Anselmo Contu, Pietrino Melis e ricevette il pieno sostegno di Camillo Bellieni.

Il congresso si svolse nei locali della Manifattura Tabacchi e si mostrò acceso fin dall'inizio. La relazione introduttiva del direttore Melis (che non firmò nessuna mozione, seppur propendente per la mozione sardista) e la presentazione delle mozioni a opera di Armando Zucca e Luigi Oggiano subirono varie interruzioni. Si fronteggiavano ormai due posizioni che fu fin dall'inizio impossibile mettere d'accordo, sullo sfondo di due differenti visioni politiche e economiche. Oltre a questo, il IX congresso vide consumarsi percorsi comuni caratterizzati non solo da una medesima fede politica, m a pure da decennali rapporti d'amicizia. Lussu vistosi in minoranza (gli mancò un adeguato seguito nelle federazioni di Nuoro e Sassari, saldamente in mano alla mozione sardista), convocò i suoi seguaci e abbandonò clamorosamente il congresso. La mozione sardista e quella di Gonario Pinna vennero unificate e si procedette agli adempimenti congressuali, Piero Soggiu fu eletto nuovo segretario. Si concluse quello che fu l'ultimo congresso con la presenza di coloro i quali, 27 anni prima, avevano contribuito alla fondazione del partito.

I lussiani raggiunsero il vicino cinema Olimpia e fondarono il Partito Sardo d'Azione Socialista, ma il tentativo di Emilio Lussu di collocare il Partito Sardo nel solco della tradizione socialista fallì. Il Psd’Azs ebbe un'esistenza effimera: avviata subito una trattativa coi socialisti, ma presentatosi col proprio simbolo alle prime elezioni regionali (dove ottenne il 6,6% e elesse tre consiglieri regionali), confluì nel novembre 1949 nel Partito Socialista Italiano.

La scissione non indolore di Lussu fu l'occasione per una profonda riorganizzazione del Psd’Az. Una certa vivacità giovanile (in particolar modo ad opera di Marcello Tuveri, Marco Diliberto, Ignazio Delogu, Virgilio Lai, Fernando Pilia e Michelangelo Pira, che divenne direttore de "Il Solco") fu di buon auspicio per il banco di prova elettorale rappresentato dalle prime elezioni per il consiglio regionale della Sardegna nel 1949. I risultati confermarono le percentuali delle politiche dell'anno precedente. Col 10,4% il Psd’Az elesse 7 consiglieri regionali: Pietro Melis, Anselmo Contu, Piero Soggiu, Peppino Puligheddu, Luigi Satta, Alberto Mario Stangoni e Giangiorgio Casu. A una perdita di consensi nel cagliaritano, roccaforte dei lussiani, fece da contraltare l'ottima ripresa nel sassarese (11% e 2 consiglieri) e la conferma, col 20% dei voti, del nuorese come roccaforte storica.

Il partito maggioritario rimase la DC col 34%. La prima giunta guidata da Luigi Crespellani vide pure la presenza dei sardisti (provocando l'uscita di Gonario Pinna dal partito). Ma l'azione degli assessori sardisti, soprattutto sulle questioni riguardanti la riforma agraria e le entrate finanziarie, venne spesso vanificata sia dall'ostruzionismo della DC che dalle ingerenze del governo centrale. L'opposizione all'alleanza con la DC fu rappresentata da Bartolomeo Sotgiu e Antonio Bua. Dopo il congresso del 1951, che riportò Giovanni Battista Melis alla carica di direttore, ci fu l'uscita dei sardisti dalla giunta. Intanto anche in Sardegna si affermarono le tendenze elettorali della penisola: a un Psd’Az che guardava con favore a una terza forza laica (così come aveva teorizzato qualche anno prima Gonario Pinna), l'elettorato preferiva radicalizzarsi, polarizzando il consenso o verso la DC o verso le sinistre. Alle elezioni politiche e regionali del 1953 il Psd’Az subì un crollo di consensi. Per tutti gli anni cinquanta, il partito si stabilizzò politicamente in temporanee giunte regionali assieme alla DC e nella ricerca di forze alternative ai due blocchi, ne è un esempio la sfortunata alleanza alle elezioni politiche del 1958 col Movimento Comunità di Adriano Olivetti, elettoralmente in percentuali tra il 3% e l'8%. La guida del partito si concentrò saldamente intorno alla leadership carismatica di Giovanni Battista Melis.


Gli anni del Piano di Rinascita e l'opera di Antonio Simon Mossa

 

La fine degli anni cinquanta si caratterizzarono per una decisa svolta della politica sarda intorno al Piano di Rinascita. Il primo grande esperimento di programmazione a scala regionale dell'Italia repubblicana (in attuazione dell'art. 13 della legge costituzionale 26/2/1948, n. 3) fu percorso da momenti di primaria importanza della storia politica e culturale sarda. Nel 1956 i giovani turchi della DC sassarese vinsero il congresso provinciale, proiettando in chiave regionale una classe dirigente di stampo culturale e politico profondamente differente rispetto al vecchio ceto democristiano. Furono gli anni di maggior impegno della rivista Ichnusa di Antonio Pigliaru e di un quadro politico che virava verso la formula del centro-sinistra. Il primo assessorato alla Rinascita fu ufficializzato nel 1958 nella giunta DC di Efisio Corrias.

Questa prima fase della Rinascita vide un Psd’Az con buoni segni di rinnovamento, testimoniato dalla presenza sulla scena politica di giovani capaci (Nino Ruiu, Sebastiano Brusco,Salvatore Sechi e Carlo Sanna) che affiancarono politici di valore e esperti come Pietro Melis e Anselmo Contu. Proprio questi due entreranno nella prima giunta della Rinascita di Corrias, rispettivamente all'Industria e al Turismo. A questo clima di cauto ottimismo seguì una ripresa elettorale che riportò un sardista al Parlamento italiano: a suggello di un'alleanza col PRI, Giovanni Battista Melis fu rieletto nel 1963 alla Camera dei deputati.

Gli anni sessanta furono quelli della nascita dell'industrializzazione in Sardegna che, pur portando benessere a livelli mai conosciuti, si trascinò, oltre a trasformazioni importanti in tutti i livelli della società, numerose problematiche. Un eccessivo inurbamento verso i centri maggiori, modificando spesso in modo brutale il consueto volto delle città sarde, provocò un decremento di numerosi centri soprattutto dell'interno, già decimati da una forte emigrazione fuori dall'isola iniziata negli anni cinquanta. Agli squilibri di popolazione si sommarono squilibri sociali. La trasformazione dei costumi in un così piccolo lasso di tempo fu da stimolo per diversi intellettuali sulle conseguenze che la modernità causava alle caratteristiche peculiari del popolo sardo. Tra costoro ci furono due esponenti sardisti che grande parte avranno sugli indirizzi politici e culturali del Psd’Az degli anni a venire: Michele Columbu e Antonio Simon Mossa.

Il primo, sindaco sardista di Ollolai, si rese nel 1965 protagonista di una clamorosa protesta. Spinto dalle difficoltà in cui versava il suo paese, marciò a piedi verso Cagliari. Non avendo ottenuto risposta, marciò verso Sassari, dove venne accolto da una folla enorme. Era chiara l'intenzione di mostrare come il Piano di Rinascita, che prometteva un miglioramento della situazione del mondo agricolo, ancora maggioritario nelle zone interne della Sardegna, escludeva questo settore dal piano di investimenti, tutto a favore dell'industria chimica, che aveva fatto della Sardegna un sito su cui riversare notevoli investimenti. Incoraggiato dal gesto di Columbu, l'architetto algherese Antonio Simon Mossa, rientrato all'inizio degli anni sessanta nel Psd’Az (dal quale era uscito a causa dell'appoggio dei sardisti alle prime giunte regionali di marca DC), iniziò la sua battaglia culturale all'interno del partito. Ispirato dai principi del primo sardismo, Simon Mossa cercò di ridisegnare il dibattito intorno alle categorie del sardismo portando all'attenzione del partito tematiche quali quelle dell'autonomia etnica, del neocolonialismo e del pericolo di estinzione della lingua sarda che in quegli anni iniziava a impegnare diversi intellettuali. Il primo obiettivo di Simon Mossa e dei suoi più stretti collaboratori (Ferruccio Oggiano, Antonio Cambule, Nino Piretta e Giampiero Marras) fu la conquista della federazione sassarese, che avvenne a Ozieri nel 1965, sconfiggendo la componente del consigliere regionale Nino Ruiu. Dalle pagine del quotidiano La Nuova Sardegna (spesso adoperando lo pseudonimo di Fidel) Simon Mossa oltre a smontare il paradigma della Rinascita, innovava profondamente il linguaggio politico e teorico del sardismo. Il suo aperto indipendentismo però spaventava alcuni settori del Psd’Az sensibili alla alleanza col PRI di Ugo La Malfa, partito ben disposto al federalismo ma non di certo all'autonomia sovrana della Sardegna. La strategia di Simon Mossa che aveva fatto breccia in personalità come Michele Columbu, Giovanni Battista Melis e Piero Soggiu, ma tenacemente ostacolato da esponenti di primo piano come Armando Corona, Peppino Puligheddu e Nino Ruiu, ebbe successo; il XVI congresso del febbraio 1968 deliberò il nuovo Statuto del partito che all'art. 1 recitava: "Il Partito Sardo d'Azione è la libera associazione di tutti coloro i quali vogliono unirsi allo scopo di costituire una forza politica che abbia come meta l'Autonomia Statuale della Sardegna, ben precisata costituzionalmente, nell'ambito dello Stato Italiano concepito come Repubblica Federale".

La fazione contraria alla componente maggioritaria rappresentata da Melis, Simon Mossa e Columbu, abbandonò progressivamente il partito, aderendo al Partito Repubblicano Italiano che, prima del loro ingresso, aveva scarsi consensi nell'isola. Il Psd’Azz privo di una fetta consistente della sua classe dirigente, vide calare le proprie percentuali elettorali.

Antonio Simon Mossa morì prematuramente nel luglio del 1971.


Gli anni settanta e il Vento Sardista

 

Priva di un pezzo significativo di classe dirigente e orfana del suo maggior teorico, il Psd’Az si affidò, oltre alla vecchia guardia dei Titino Melis, Soggiu e Contu, alla personalità di Michele Columbu.

Con un quadro politico-sociale che presentava i conti del Piano di Rinascita, con una Sardegna consegnata industrialmente all'avventura della petrolchimica, i sardisti, in crisi di consensi, accettarono la proposta di PCI e PSIUP per un'alleanza elettorale alle politiche del 1972. Proprio Columbu fu eletto deputato (ma optò appena eletto per il gruppo misto comprendente gli autonomisti della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige). E nel 1974 conquisterà la segreteria del partito scontrandosi col vecchio leader Titino Melis che, pochi mesi dopo, nonostante una candidatura carismatica come quella di Michelangelo Pira, sarà l'unico sardista eletto al consiglio regionale, con un partito ormai ridotto al 2,5%.

Ma a un calo di consensi elettorali non corrispose un restringimento delle tematiche sardiste. Proprio in quegli anni intellettuali come Antonello Satta e Eliseo Spiga fondarono a Cagliari il circolo Città-Campagna e nel 1973 Mario Carboni fondò il movimento Su Populu Sardu, al quale aderirono negli anni Gianfranco Pintore, Angelo Caria, Diego Corraine e Lorenzo Palermo. Si trattò di quello che molti analisti politici chiamarono con il nome di neosardismo. Proprio questi gruppi e il Partito sardo d'Azione nella persone del suo leader furono al centro di una vicenda, orchestrata dal Servizio Informazioni Difesa (SID), che paventava l'esistenza di gruppi di guerriglia separatista. La vicenda si sgonfiò, ma rese evidente la preoccupazione di certi settori per la crescente diffusione delle tematiche indipendentiste.

L'alleanza col PCI venne confermata e nel 1976 fu eletto al Senato l'avvocato Mario Melis, fratello di Titino. Nonostante le difficoltà elettorali il partito mostrava una certa vivacità ed era raccolto nella leadership di Michele Columbu e nelle personalità di Carlo Sanna a Cagliari, Italo Ortu a Oristano, Mario Melis a Nuoro e Nino Piretta a Sassari, che già nel 1975 conosceva un risveglio elettorale con l'elezione di 2 consiglieri comunali.

La seconda parte degli anni settanta vide l'industria chimica, che rappresentava il perno dell'economia isolana (avendo localizzato gli impianti sia al nord, Porto Torres, che al sud, Cagliari, che al centro, Ottana, e condizionando, attraverso la figura di Nino Rovelli, proprietario della SIR, la stampa isolana) andare progressivamente in difficoltà. Proprio il successo della fase della petrolchimica, fiore all'occhiello del Piano di Rinascita, aveva assicurato l'egemonia politica e culturale della DC dei giovani turchi e dei forzanovisti nuoresi, ma pure alla sinistra, con l'affermazione dei quadri sindacali, venne garantita una posizione favorevole. Le tematiche sardiste, portate avanti dal Psd’Az e dai movimenti indipendentisti, si concentrarono sulla richiesta di un regime di zona franca fiscale e sulla tutela della minoranza linguistica sarda. Nel 1977 si formò un comitato per la raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sul bilinguismo. La raccolta di firme, ostacolata dai partiti italiani in particolare dal PCI (la DC si mostrò tiepida, ma molti settori cattolici agevolarono la raccolta delle firme) ebbe successo. Per le elezioni regionali del 1979 il Partito Sardo d'Azione strinse un patto elettorale con il movimento Su Populu Sardu, sotto l'emblema dei Quattro Mori e la scritta "Libertade e Socialismu". La lista raccolse il 3,3% dei consensi e portò in consiglio Carlo Sanna, Mario Melis e Nino Piretta. Il movimento Su Populu Sardu si sciolse poco dopo e una parte consistente della sua dirigenza, tra i quali Carboni e Pintore, entrarono nel Psd’Azz. Al rinnovato entusiasmo seguì una serie di successi elettorali nelle comunali di Cagliari e Sassari del 1980: il capoluogo turritano raddoppiò la rappresentanza e a Cagliari vennero eletti Michele Columbu (che divenne sindaco per pochi giorni) e Bachisio Morittu.

L'appuntamento cruciale fu a Porto Torres, dove tra il 5 e il 6 dicembre del 1981 si celebrò il XX congresso. Un congresso vivace deliberò la riforma dell'art. 1, dove in luogo di "autonomia statuale" campeggiava la parola "indipendenza" senza più nessun riferimento allo stato italiano. Questo strappo totale con l'Italia, provocò scalpore e indignazione, ma il Psd’Azz, nonostante le accuse piovute immediatamente dopo il congresso di fomentare un complotto separatista con l'aiuto della Libia, continuò a mietere successi. Nel 1983 Mario Melis venne eletto deputato (lasciò l'anno seguente a Giovanni Battista Columbu) e al Senato venne eletto Giovanni Battista Loi. Alle europee del 1984 Michele Columbu entrò al Parlamento Europeo e nel giugno dello stesso anno col 13,8% portò alla Regione 12 consiglieri: Michele Columbu (al quale, essendo eurodeputato, subentrò Giancarlo Falchi),Carlo Sanna, Bachisio Morittu, Francesco Puligheddu, Tullio Aresti, Elia Marracini, Italo Ortu, Giorgio Ladu, Mario Melis, Franco Meloni, Efisio Planetta e Nino Piretta.

L'analisi del voto smentì chi pensava a un Psd’Az come partito dei ceti rurali. Infatti la maggior parte dei consensi arrivarono dalle maggiori città dell'isola. Sia a Cagliari che a Sassari il Psd’Az viaggiava su percentuali che sfioravano il 20%. I ceti che guardavano con interesse ai sardisti appartenevano al mondo imprenditoriale e artigianale e a quello delle professioni: coloro, dunque, che mostravano maggiore diffidenza verso le politiche economiche che lo Stato italiano aveva intrapreso, e intraprendeva, nei confronti dell'isola. La fiducia riposta nel Psd’Az, che ne faceva la forza politica condizionante ogni quadro politico, ruolo che nel governo italiano era esercitato dal PSI, fece sì che la guida della Regione toccasse al suo esponente più prestigioso, Mario Melis, che inaugurò la prima giunta in Sardegna di alternativa di sinistra, in alleanza col PCI.

La guida carismatica di Melis si dipanò per 5 anni con la formazione di 3 giunte in accordo con i partiti di sinistra, PCI e PSI, e i partiti laici, PSDI e PRI. Il partito crebbe ancora, sia alle provinciali che alle comunali del 1985 (a Cagliari furono eletti 9 consiglieri, a Sassari 8) e nuovamente alle politiche del 1987, dove ai riconfermati Columbu e Loi, si aggiunse alla Camera il segretario Carlo Sanna. Nonostante il prestigio di Melis, le proposte più care ai sardisti, zona franca e bilinguismo, restarono lettera morta. Addirittura la legge sul bilinguismo venne bocciata l'ultimo giorno della legislatura dal voto contrario degli alleati comunisti.

Alla vigilia delle elezioni regionali del 1989 uno scandalo scosse il partito. Il leader storico dei sardisti sassaresi, Nino Piretta, venne arrestato con l'accusa di concussione e truffa. Il Psd’Az ebbe un calo minimo, ma una cattiva distribuzione dei voti fece perdere due seggi e fu superato, nel ruolo di terza forza, dal PSI, che inaugurava una legislatura fondata sul ritorno delle DC al governo regionale e l'opposizione del Psd’Az durante i 5 anni. Il partito si presentava all'appuntamento del XXIII congresso rappresentato in tutte le istituzioni (Mario Melis era stato eletto proprio in quell'anno al Parlamento Europeo), radicato in tutta la Sardegna con centinaia di amministratori e con un ceto intellettuale piuttosto attivo ("Il Solco" riprese le pubblicazioni diretto da Gianfranco Pintore, a Sassari venne fondato da Michele Pinna l'Istituto di Studi e Ricerche "Camillo Bellieni" di orientamento sardista e più tardi a Cagliari la Fondazione Sardinia con Bachisio Bandinu, Placido Cherchi e Salvatore Cubeddu come promotori).

Fu un congresso che, oltre a presentare un numero alto di mozioni, si coagulò intorno a un gruppo favorevole al ricambio della classe dirigente (Mario Carboni, Gianfranco Pintore, Lorenzo Palermo, Giuseppe Atzeri) e un altro in sostanziale continuità con la gestione decennale di Carlo Sanna. La rielezione, nel segno della continuità, di quest'ultimo subì però una battuta d'arresto nelle amministrative del 1990 dove il partito incassò una cocente sconfitta soprattutto a Cagliari. Le difficoltà non cessarono ne durante la segreteria di Efisio Pilleri, espressione dei rinnovatori, ne durante quella del subentrante Giorgio Ladu: alle elezioni politiche del 1992 con circa il 7% fu eletto l'imprenditore di Porto Torres Giancarlo Acciaro alla Camera, al Senato la discussa candidatura del cardiochirurgo Valentino Martelli ebbe successo, ma pochi giorni dopo l'insediamento al Parlamento, Martelli lasciò il gruppo autonomista per approdare al Partito Liberale. Giorgio Ladu, strenuo sostenitore della candidatura, si dimise.

Il cosiddetto impetuoso "vento sardista" aveva smesso di soffiare. Il nuovo segretario Italo Ortu, oltre al quadro politico italiano in trasformazione, dovette fronteggiare la spaccatura del gruppo consiliare (Bachisio Morittu e il cantautore Piero Marras avevano aderito, insieme ad alcuni ex-comunisti, al gruppo "Rinascita e Sardismo"), alcune defezioni di militanti e dirigenti verso il Partidu Sardu Indipendentista e trovare un nuovo regime di alleanze nello spazio che la nuova legge elettorale maggioritaria poteva concedere. Alle elezioni del 1994 il Psd’Azz si presentò nel cartello "Alleanza Federalista", che comprendeva socialisti e membri dei partiti laici. Ma nessun parlamentare venne eletto.


Dagli anni novanta a oggi

 

La sconfitta alle elezioni politiche del 1994 provocò le dimissioni di Ortu. Nell'aprile venne eletto segretario l'ex-parlamentare Giancarlo Acciaro, ma pochi giorni dopo venne arrestato per corruzione (vicenda dal quale verrà pienamente assolto solo dieci anni più tardi). La segreteria venne affidata a Cecilia Contu, figlia di Anselmo e ex-presidente della Provincia di Cagliari. La Contu guidò il partito all'appuntamento delle elezioni regionali del 1994. Con la candidatura a presidente dell'insegnante di Santa Teresa di Gallura, Pasqualina Crobu, il Psd’Azz riusci a eleggere 4 suoi rappresentanti. Le prime giunte di Federico Palomba inclusero i sardisti. Di rilievo fu l'approvazione di provvedimenti importanti quali la legge sulla tutela della lingua sarda (n. 27 del 1998), la legge di riforma delle province e la legge sulla bandiera sarda, vista come elemento di unione nazionale del popolo sardo. In questi anni sembrò saldarsi l'alleanza con i progressisti. Divennero assessori il sassarese Giacomo Sanna e il cagliaritano Efisio Serrenti. Per le elezioni politiche del 1996, il nuovo segretario Lorenzo Palermo siglò un accordo con L'Ulivo che permise l'elezione al Senato di Franco Meloni. Ma l'anno successivo, i contrasti col presidente Federico Palomba portarono all'abbandono da parte dei sardisti della compagine di governo regionale. Il Psd’Az si trovò a un bivio: o la ricucitura col centrosinistra o una nuova alleanza col centrodestra (sul quale pendevano perplessità per la presenza di AN). Alle elezioni regionali del 1999 i sardisti scelsero di correre da soli col loro leader Franco Meloni candidato alla presidenza: a un eloquente 8,3% di voti nel listino si accompagnò il dimezzamento delle preferenze nei listini provinciali e il Psd’Az perse un consigliere. Sull'opportunità o meno di fornire un appoggio al centrodestra che, nonostante avesse raccolto la maggioranza relativa delle preferenze, necessitava di un supporto di consiglieri per formare una giunta di maggioranza, il partito si spaccò. Due consiglieri, Giacomo Sanna e il nuorese Pasqualino Manca rifiutarono, mentre Efisio Serrenti accettò e venne eletto presidente del Consiglio Regionale. La minoranza serrentiana (che comprendeva Cecilia Contu e Mario Carboni) abbandonò poco dopo il partito formando i Sardistas e confluendo in un nuovo soggetto politico, Fortza Paris. L'anno successivo il Psd’Az, reduce da qualche mese dalla sconfitta della candidatura a sindaco di Sassari del sardista Leonardo Marras, che perdette col candidato del centrodestra Gianvittorio Campus a causa della spaccatura del centrosinistra locale, elesse Giacomo Sanna alla segreteria.

I contrasti col centrosinistra portarono il Psd’Azz a elaborare un'alleanza che potesse coinvolgere tutti i soggetti indipendentisti sardi. Alle politiche del 2001 e alle regionali del 2004 il Psd’Azz si presentò in un cartello elettorale con Sardigna Natzione. I risultati furono abbastanza modesti. Soprattutto nel 2004, ci fu un riavvicinamento col centrosinistra, ma la candidatura di Renato Soru, già presidente di Tiscali, a governatore determinò la corsa solitaria del polo indipendentista sotto l'insegna "Sardigna Libera". Nonostante capeggiasse il listino, Giacomo Sanna mancò l'elezione: i due soli consiglieri del Psd’Azz furono Beniamino Scarpa e Giuseppe Atzeri.

Questo ulteriore restringimento dei consensi provocò diversi malumori all'interno del partito, soprattutto da parte della fazione che guardava a Soru come un esponente ben disposto verso gli ideali sardisti e quindi propendeva per un inserimento del Psd’Az nell'area di governo della Regione. Ma nei congressi del 2004 e del 2006, quest’ultimo convocato a seguito della candidatura dello stesso Sanna in un collegio lombardo sotto le insegne della Lega Nord, la maggioranza intorno a Giacomo Sanna resse.

Durante la segreteria di Efisio Trincas iniziarono i contatti col centrodestra. Inoltre si registrò l'ingresso nel Psd’Azz del movimento "Sardegna&Libertà" di Paolo Maninchedda, intellettuale di matrice cattolica e autonomista, fuoriuscito dal movimento di Progetto Sardegna fondato da Soru.

Alle elezioni regionali sarde del 2009, in seguito alle dimissioni anticipate di Soru, il Psd’Az strinse un'alleanza con lo schieramento di centrodestra, guidato da Ugo Cappellacci; la decisione causò l'abbandono della corrente di minoranza di sinistra, schieratasi nella coalizione di centrosinistra guidata da Soru con il nome Rossomori.

 

La scelta si rivelò vincente, riportando il partito fra le forze di governo della Regione dopo circa una quindicina d'anni, conseguendo un risultato del 4,3% e l'elezione di 5 Consiglieri Regionali.