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Storia - Gli anni settanta e il Vento Sardista

Indice articoli

Gli anni settanta e il Vento Sardista

 

Priva di un pezzo significativo di classe dirigente e orfana del suo maggior teorico, il Psd’Az si affidò, oltre alla vecchia guardia dei Titino Melis, Soggiu e Contu, alla personalità di Michele Columbu.

Con un quadro politico-sociale che presentava i conti del Piano di Rinascita, con una Sardegna consegnata industrialmente all'avventura della petrolchimica, i sardisti, in crisi di consensi, accettarono la proposta di PCI e PSIUP per un'alleanza elettorale alle politiche del 1972. Proprio Columbu fu eletto deputato (ma optò appena eletto per il gruppo misto comprendente gli autonomisti della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige). E nel 1974 conquisterà la segreteria del partito scontrandosi col vecchio leader Titino Melis che, pochi mesi dopo, nonostante una candidatura carismatica come quella di Michelangelo Pira, sarà l'unico sardista eletto al consiglio regionale, con un partito ormai ridotto al 2,5%.

Ma a un calo di consensi elettorali non corrispose un restringimento delle tematiche sardiste. Proprio in quegli anni intellettuali come Antonello Satta e Eliseo Spiga fondarono a Cagliari il circolo Città-Campagna e nel 1973 Mario Carboni fondò il movimento Su Populu Sardu, al quale aderirono negli anni Gianfranco Pintore, Angelo Caria, Diego Corraine e Lorenzo Palermo. Si trattò di quello che molti analisti politici chiamarono con il nome di neosardismo. Proprio questi gruppi e il Partito sardo d'Azione nella persone del suo leader furono al centro di una vicenda, orchestrata dal Servizio Informazioni Difesa (SID), che paventava l'esistenza di gruppi di guerriglia separatista. La vicenda si sgonfiò, ma rese evidente la preoccupazione di certi settori per la crescente diffusione delle tematiche indipendentiste.

L'alleanza col PCI venne confermata e nel 1976 fu eletto al Senato l'avvocato Mario Melis, fratello di Titino. Nonostante le difficoltà elettorali il partito mostrava una certa vivacità ed era raccolto nella leadership di Michele Columbu e nelle personalità di Carlo Sanna a Cagliari, Italo Ortu a Oristano, Mario Melis a Nuoro e Nino Piretta a Sassari, che già nel 1975 conosceva un risveglio elettorale con l'elezione di 2 consiglieri comunali.

La seconda parte degli anni settanta vide l'industria chimica, che rappresentava il perno dell'economia isolana (avendo localizzato gli impianti sia al nord, Porto Torres, che al sud, Cagliari, che al centro, Ottana, e condizionando, attraverso la figura di Nino Rovelli, proprietario della SIR, la stampa isolana) andare progressivamente in difficoltà. Proprio il successo della fase della petrolchimica, fiore all'occhiello del Piano di Rinascita, aveva assicurato l'egemonia politica e culturale della DC dei giovani turchi e dei forzanovisti nuoresi, ma pure alla sinistra, con l'affermazione dei quadri sindacali, venne garantita una posizione favorevole. Le tematiche sardiste, portate avanti dal Psd’Az e dai movimenti indipendentisti, si concentrarono sulla richiesta di un regime di zona franca fiscale e sulla tutela della minoranza linguistica sarda. Nel 1977 si formò un comitato per la raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare sul bilinguismo. La raccolta di firme, ostacolata dai partiti italiani in particolare dal PCI (la DC si mostrò tiepida, ma molti settori cattolici agevolarono la raccolta delle firme) ebbe successo. Per le elezioni regionali del 1979 il Partito Sardo d'Azione strinse un patto elettorale con il movimento Su Populu Sardu, sotto l'emblema dei Quattro Mori e la scritta "Libertade e Socialismu". La lista raccolse il 3,3% dei consensi e portò in consiglio Carlo Sanna, Mario Melis e Nino Piretta. Il movimento Su Populu Sardu si sciolse poco dopo e una parte consistente della sua dirigenza, tra i quali Carboni e Pintore, entrarono nel Psd’Azz. Al rinnovato entusiasmo seguì una serie di successi elettorali nelle comunali di Cagliari e Sassari del 1980: il capoluogo turritano raddoppiò la rappresentanza e a Cagliari vennero eletti Michele Columbu (che divenne sindaco per pochi giorni) e Bachisio Morittu.

L'appuntamento cruciale fu a Porto Torres, dove tra il 5 e il 6 dicembre del 1981 si celebrò il XX congresso. Un congresso vivace deliberò la riforma dell'art. 1, dove in luogo di "autonomia statuale" campeggiava la parola "indipendenza" senza più nessun riferimento allo stato italiano. Questo strappo totale con l'Italia, provocò scalpore e indignazione, ma il Psd’Azz, nonostante le accuse piovute immediatamente dopo il congresso di fomentare un complotto separatista con l'aiuto della Libia, continuò a mietere successi. Nel 1983 Mario Melis venne eletto deputato (lasciò l'anno seguente a Giovanni Battista Columbu) e al Senato venne eletto Giovanni Battista Loi. Alle europee del 1984 Michele Columbu entrò al Parlamento Europeo e nel giugno dello stesso anno col 13,8% portò alla Regione 12 consiglieri: Michele Columbu (al quale, essendo eurodeputato, subentrò Giancarlo Falchi),Carlo Sanna, Bachisio Morittu, Francesco Puligheddu, Tullio Aresti, Elia Marracini, Italo Ortu, Giorgio Ladu, Mario Melis, Franco Meloni, Efisio Planetta e Nino Piretta.

L'analisi del voto smentì chi pensava a un Psd’Az come partito dei ceti rurali. Infatti la maggior parte dei consensi arrivarono dalle maggiori città dell'isola. Sia a Cagliari che a Sassari il Psd’Az viaggiava su percentuali che sfioravano il 20%. I ceti che guardavano con interesse ai sardisti appartenevano al mondo imprenditoriale e artigianale e a quello delle professioni: coloro, dunque, che mostravano maggiore diffidenza verso le politiche economiche che lo Stato italiano aveva intrapreso, e intraprendeva, nei confronti dell'isola. La fiducia riposta nel Psd’Az, che ne faceva la forza politica condizionante ogni quadro politico, ruolo che nel governo italiano era esercitato dal PSI, fece sì che la guida della Regione toccasse al suo esponente più prestigioso, Mario Melis, che inaugurò la prima giunta in Sardegna di alternativa di sinistra, in alleanza col PCI.

La guida carismatica di Melis si dipanò per 5 anni con la formazione di 3 giunte in accordo con i partiti di sinistra, PCI e PSI, e i partiti laici, PSDI e PRI. Il partito crebbe ancora, sia alle provinciali che alle comunali del 1985 (a Cagliari furono eletti 9 consiglieri, a Sassari 8) e nuovamente alle politiche del 1987, dove ai riconfermati Columbu e Loi, si aggiunse alla Camera il segretario Carlo Sanna. Nonostante il prestigio di Melis, le proposte più care ai sardisti, zona franca e bilinguismo, restarono lettera morta. Addirittura la legge sul bilinguismo venne bocciata l'ultimo giorno della legislatura dal voto contrario degli alleati comunisti.

Alla vigilia delle elezioni regionali del 1989 uno scandalo scosse il partito. Il leader storico dei sardisti sassaresi, Nino Piretta, venne arrestato con l'accusa di concussione e truffa. Il Psd’Az ebbe un calo minimo, ma una cattiva distribuzione dei voti fece perdere due seggi e fu superato, nel ruolo di terza forza, dal PSI, che inaugurava una legislatura fondata sul ritorno delle DC al governo regionale e l'opposizione del Psd’Az durante i 5 anni. Il partito si presentava all'appuntamento del XXIII congresso rappresentato in tutte le istituzioni (Mario Melis era stato eletto proprio in quell'anno al Parlamento Europeo), radicato in tutta la Sardegna con centinaia di amministratori e con un ceto intellettuale piuttosto attivo ("Il Solco" riprese le pubblicazioni diretto da Gianfranco Pintore, a Sassari venne fondato da Michele Pinna l'Istituto di Studi e Ricerche "Camillo Bellieni" di orientamento sardista e più tardi a Cagliari la Fondazione Sardinia con Bachisio Bandinu, Placido Cherchi e Salvatore Cubeddu come promotori).

Fu un congresso che, oltre a presentare un numero alto di mozioni, si coagulò intorno a un gruppo favorevole al ricambio della classe dirigente (Mario Carboni, Gianfranco Pintore, Lorenzo Palermo, Giuseppe Atzeri) e un altro in sostanziale continuità con la gestione decennale di Carlo Sanna. La rielezione, nel segno della continuità, di quest'ultimo subì però una battuta d'arresto nelle amministrative del 1990 dove il partito incassò una cocente sconfitta soprattutto a Cagliari. Le difficoltà non cessarono ne durante la segreteria di Efisio Pilleri, espressione dei rinnovatori, ne durante quella del subentrante Giorgio Ladu: alle elezioni politiche del 1992 con circa il 7% fu eletto l'imprenditore di Porto Torres Giancarlo Acciaro alla Camera, al Senato la discussa candidatura del cardiochirurgo Valentino Martelli ebbe successo, ma pochi giorni dopo l'insediamento al Parlamento, Martelli lasciò il gruppo autonomista per approdare al Partito Liberale. Giorgio Ladu, strenuo sostenitore della candidatura, si dimise.

Il cosiddetto impetuoso "vento sardista" aveva smesso di soffiare. Il nuovo segretario Italo Ortu, oltre al quadro politico italiano in trasformazione, dovette fronteggiare la spaccatura del gruppo consiliare (Bachisio Morittu e il cantautore Piero Marras avevano aderito, insieme ad alcuni ex-comunisti, al gruppo "Rinascita e Sardismo"), alcune defezioni di militanti e dirigenti verso il Partidu Sardu Indipendentista e trovare un nuovo regime di alleanze nello spazio che la nuova legge elettorale maggioritaria poteva concedere. Alle elezioni del 1994 il Psd’Azz si presentò nel cartello "Alleanza Federalista", che comprendeva socialisti e membri dei partiti laici. Ma nessun parlamentare venne eletto.

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