1. Skip to Menu
  2. Skip to Content
  3. Skip to Footer

Storia - Il Sardismo e l'avvento del Fascismo

Indice articoli

Il Sardismo e l'avvento del Fascismo

 

Il primo banco di prova per il nuovo partito furono le elezioni del maggio dello stesso anno. Radicato in tutta l'isola, grazie al fatto che buona parte delle sezioni dei Combattenti (che, nelle vesti di organizzazione autonoma, erano ancora in vita) si erano convertite in sezioni del Partito, e guidato da leader carismatici, il Partito Sardo d'Azione si rivelò come il primo vero partito di massa della Sardegna. Con circa 1/3 dei consensi elettorali dell'isola, raccolse più del doppio dei voti socialisti (12,4%) e quasi tre volte quelli del PPI (11,3%). Ai riconfermati Pietro Mastino e Paolo Orano, si aggiunsero Umberto Cao (l'autore dell'opuscolo Per l'Autonomia! e zio del fondatore del Solco) e Emilio Lussu. Fu invece una vera e propria debacle per le liste dei Combattenti nel resto d'Italia. Pur consapevole della difficoltà in cui versava il movimento autonomistico nella penisola, Bellieni, al II Congresso del Partito, svoltosi a Oristano nel gennaio 1922, intravede ancora un'Italia "riordinata su basi federali con la conquista delle autonomie regionali".

Si erano intanto, anche in Sardegna, formati i primi fasci di combattimento, che avevano però scarso seguito (visto il quasi totale monopolio che esercitava il Partito Sardo d'Azione nelle file degli ex-Combattenti). Il salto di qualità del Fascismo isolano lo si ebbe ad opera dell'industriale Ferruccio Sorcinelli, proprietario di alcuni siti minerari nel Sulcis e del quotidiano cagliaritano l'Unione sarda. Nella zona del Sud-Ovest dell'Isola, ricca di miniere, che rappresentava il vero serbatoio elettorale del socialismo sardo, dunque la comparsa del primo Fascio della Sardegna, grazie al finanziamento di Sorcinelli, rivolse la propria azione in funzione esclusivamente anti-operaia.

L'appuntamento con il III° Congresso del Partito è preceduto dalla sconfitta dei Sardisti nelle nuove elezioni del Consiglio Provinciale di Sassari che, a causa dell'intransigenza del Bellieni nei confronti della Monarchia, perde la maggioranza consiliare (alienandosi, per questo, i consensi degli ex-combattenti particolarmente sensibili verso la Casa Reale) e dall'adesione in massa delle Associazioni Combattentistiche della penisola al Fascismo. Il Congresso si svolge a Nuoro il 28 e 29 ottobre con una massiccia presenza della forza pubblica. Le formule di rito, le relazioni e le discussioni cedono il passo all'attesa di notizie riguardo alla Marcia su Roma, che si sta consumando in contemporanea. L'incertezza e la preoccupazione domina il Congresso, sentimenti confermati in una riunione post-congressuale dei massimi dirigenti del Partito; secondo la testimonianza di Dino Giacobbe prevalse tra loro una linea attendista (ancora non era chiara la posizione della Monarchia e dell'Esercito) rispetto a una linea più radicale che contemplava perfino una separazione della Sardegna dall'Italia, come riportavano quei giorni alcuni giornali esteri. La fine dello stato d'assedio e il successivo incarico di primo ministro a Benito Mussolini, decretò la vittoria dei fascisti.

La decisione di non cedere la piazza ai fascisti, vittoriosi nel resto d'Italia, confermò una volta per tutte l'egemonia che i sardisti esercitavano ancora nelle file degli ex-combattenti: durante le celebrazioni del IV° anniversario della vittoria, il 4 novembre 1922, a Cagliari, 20.000 reduci sfilarono al seguito della Bandiera dei Quattro Mori; i fascisti presenti vennero espulsi dal corteo e costretti a riparare sotto la protezione della Polizia. I mesi seguenti videro fascisti e sardisti confrontarsi nelle piazze. Allo sbarco di Camicie Nere dal continente (famoso fu quello di circa 200 fascisti a Olbia, provenienti da Civitavecchia), il Partito Sardo rispose, data la quasi totale inerzia delle forze di polizia, dotandosi di una formazione paramilitare: le Camicie Grigie. Dopo il ferimento di Emilio Lussu durante un comizio e l'incendio della redazione del quotidiano del Partito "Il Solco", si arriverà alla tragica uccisione di Efisio Melis, ardito sardista.

Per porre fine ai subbugli e alla situazione di stallo in cui rischiava di impantanarsi la Sardegna, Benito Mussolini inviò in Sardegna, in qualità di prefetto, il generale Asclepia Gandolfo, decorato di guerra e persona che godeva di particolare stima negli ambienti degli ex-combattenti sardi. Il piano ambizioso prevedeva la fusione del Psd’Az nel Partito Nazionale Fascista (PNF), attraverso la soppressione delle squadre fasciste finanziate da Sorcinelli, con l'obiettivo dichiarato di consegnare il potere nelle mani di una nuova classe dirigente, sorta alla fine della guerra, quale era quella sardista. Il combattentismo e l'avversione per la precedente classe politica liberale furono il terreno fertile sul quale imbastire le trattative: il vertice del Partito designò Emilio Lussu quale delegato a negoziare le proposte del generale Gandolfo. Totalmente contrari all'accordo, oltre naturalmente al Sorcinelli, furono gli irremovibili Camillo Bellieni e Francesco Fancello, così come si pronunciarono contro le sezioni sardiste di Nuoro, Alghero, Tempio Pausania; la sezione del Psd’Az diSassari, la città del Bellieni, chiese la convocazione di un Congresso per denunciare le lusinghe del PNF. Nonostante ciò, avvennero le prime defezioni, soprattutto tra i quadri intermedi del Partito: lasciarono il Psd’Az per aderire al Fascismo: Enrico Endrich, Nicola Paglietti, Vittorio Tredici, Egidio Pilia e Giuseppe Pazzaglia.

L'incedere incerto e ricco di ombre di Lussu, che depose l'incarico di delegato a trattare coi fascisti, minacciando addirittura le dimissioni da deputato, precede il Congresso straordinario che si tenne a Macomer ai primi di marzo del 1923. Chiesto con forza dal gruppo sassarese che, per bocca dei loro leader Fancello e Bellieni, sconfessò apertamente l'atteggiamento di Lussu e aperto da una lettera dello stesso Bellieni, gonfia di "disprezzo per i disertori", vide fronteggiarsi due mozioni: quella anti-fascista, e quella dei sostenitori della fusione col PNF. La prima, largamente vittoriosa, concedeva però ancora spazi di dialogo col governo in carica. Fu propria su questa ambiguità (che rimarcava ancora una volta la titubanza e l'attendismo dei dirigenti del partito) che si consumò il trauma dell'abbandono di uno dei massimi dirigenti come Paolo Pili, che passò qualche mese più tardi tra le file del Fascismo.

Chirca in psdaz.net