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Sardegna spopolata perché mal governata e manca il lavoro, ma la soluzione non è importare disoccupati!

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Credo che tutti sentiamo di dover dare aiuto ai migranti che giungono alle nostre coste. Con la generosità e lo spirito di accoglienza che ha sempre contraddistinto i sardi.

Tuttavia di questa drammatica emergenza, che forse è ancora agli esordi e di cui è difficile prevedere gli sviluppi, vorrei richiamare alcuni aspetti che mi sembra comincino a delinearsi piuttosto chiaramente.

Il primo è che la sola accoglienza è senza prospettive.

Perché l’accoglienza non potrà per sempre essere assistita, né essere affidata in modo indefinito alle disposizioni morali, ideali o religiose dei cittadini. Il secondo aspetto è che in assenza di effettive e sostenibili politiche di integrazione un flusso così imponente di migranti è destinato a generare conflitti e nuove forme di povertà. Il terzo, ancora più allarmante, è che sui processi in atto, oltre alle ragioni umanitarie, convergono immensi interessi economici.

La soluzione che oggi si prospetta e che anzi è già realtà in diverse situazioni rurali e urbane, in Italia e anche in Sardegna, è destinare la forza lavoro che arriva con i migranti ad enclave di lavoro nero o sottopagato, in altre parole colonie interne ai territori di accoglienza, inevitabilmente destinate a espandersi e alterare l’intero mercato del lavoro. A discapito dei diritti sociali. E a vantaggio di piccoli affaristi e grandi potentati economici.

Questa soluzione, recentemente caldeggiata anche dall’agenzia americana Standard & Poor’s, darebbe ulteriore compimento a quel “libero mercato” delle merci che ha già costretto migliaia di aziende a chiudere, vendere o delocalizzare, determinando un accentramento delle ricchezze e l’impoverimento generale della nostra società.

Noi non possiamo accettare che a questo libero e illiberale mercato di merci si aggiunga la libera importazione di esseri umani. Perché è evidente che, dopo avere pregiudicato o tentato di mettere fuori mercato i nostri prodotti, la disponibilità di forza lavoro a basso costo metterebbe ai margini anche i nostri lavoratori.

Quanto alla tesi secondo cui un ulteriore e ancora più vasto afflusso di migranti darebbe soluzione ai problemi di denatalità e invecchiamento dei paesi europei, diciamo che sono altre le politiche da adottare. Diciamo che questa tesi, sostenuta anche come rimedio allo spopolamento della Sardegna è del tutto inaccettabile. Che si prospetta come rinuncia a qualsiasi possibilità di cambiamento e di crescita. Quasi che alla nostra società non si possa riservare altro futuro che quello di deperire fino a estinguersi.

Con molta chiarezza ribadiamo che non siamo e mai saremo disposti a lasciarci travolgere, né a cedere il nostro territorio a ulteriori avventure coloniali. A proseguire con la sperimentazione di armi, a insediare discariche e industrie inquinanti, a relegare criminali e accogliere imprenditori spregiudicati.

La Sardegna è una terra spopolata o poco popolata. E’ vero. Non certo per ragioni naturali. Bensì perché è mal governata e vessata da interessi esterni, perché subisce l’imposizione di modelli di sviluppo inadeguati, perché da sempre soffre di una insufficiente libertà e perché manca il lavoro. Ma la soluzione non sarà importare disoccupati.

In Sardegna occorre impegnarsi a creare nuove e credibili opportunità di sviluppo e di lavoro. Anche per coloro che possono sopravvenire, certamente. Ma in primo luogo per i numerosi sardi disoccupati e per coloro che dalla Sardegna sono stati costretti ad andarsene.

Lo affermiamo respingendo il fatalismo di chi considera ogni processo che si annunci nel segno della globalizzazione come un fenomeno inarrestabile: fino a quando esisteranno paesi governati da leggi, diritti civili e costumi sostanzialmente diversi, le frontiere devono esistere. Perché un paese senza frontiere è come una casa senza muri.

E le frontiere, come i muri, non esistono solo per escludere, ma per includere e accogliere, per difendere valori e diritti e per assicurare la pacifica convivenza.

Altri confini si sono allargati per sempre. Quelli della nostra visione politica e delle nostre responsabilità.

La via da perseguire sarà testimoniare ovunque contro ogni disegno di controllo e di asservimento del mondo e a favore dell’autodeterminazione di ogni popolo. E con rinnovato impegno adoperarci nel luogo in cui viviamo, per affermare il nostro diritto e dovere di esistere, con la nostra identità e la nostra storia.

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