Uniti possiamo vincere e dare alla Sardegna un futuro diverso!

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Questo è il testo dell’intervento di fine mandato da Segretario Nazionale di Giovanni Columbu, pronunciato a braccio al XXXIII Congresso Nazionale prima della sua elezione a nuovo Presidente del Partidu sardu - Partito Sardo d’Azione.

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Cari amici sardisti,

dopo quasi cent’anni dalla fondazione del nostro Partito, dopo tanta storia vissuta e tante battaglie combattute, rivisitando l’elaborazione ideologica e politica prodotta fino ad oggi, parrebbe che tutto sia già stato formulato dai nostri predecessori e che il punto e la rotta non possano oggi che essere stabiliti riprendendo e confermando i valori, gli ideali e gli indirizzi politici più volte enunciati.

Eppure le condizioni in cui ci troviamo a operare sono cambiate. Il sentimento sardista è cresciuto in modo clamoroso. Sia quello dichiarato che quello diffuso. I nostri obiettivi hanno assunto una nuova attualità e una nuova urgenza. Rispondono ad un’attesa molto più ampia e condivisa. E nuovi percorsi si rendono possibili.

Uno dei nostri principi qualificanti è stato quello di stabilire alleanze e convergenze sulla base dei programmi e dell’azione. Un principio anti ideologico, moderno e teoricamente del tutto giustificato, dovuto alla volontà di concorrere fattivamente ai processi di trasformazione della Sardegna ovunque questo fosse utile e possibile, anche con partiti di orientamento generale diverso dal nostro rispetto ai quali eravamo minoranza.

Ma oggi lo scenario politico è radicalmente mutato. Un altro obiettivo si rende possibile e assume un’importanza primaria. Oggi possiamo e dobbiamo adoperarci prioritariamente per promuovere un nuovo schieramento di impronta sardista, sovranista e indipendentista. Oggi possiamo e dobbiamo investire la nostra forza, il patrimonio delle nostre idee, la nostra credibilità per rendere possibile la convergenza delle formazioni politiche, dei gruppi e dei movimenti che, per la visione ideale e gli obiettivi che si propongono, sono più prossimi a noi.

Per la prima volta nella storia della Sardegna l’area delle forze di orientamento sardista, sovranista e indipendentista sono cresciute in misura tale da poter avere nello scenario politico un ruolo determinante. Per la prima volta le liste civiche che nelle elezioni amministrative hanno deciso di seguire un proprio libero percorso sono divenute preponderanti. E’ un fatto nuovo e di straordinario rilievo storico e politico.

Queste formazioni sono accomunate da sentimenti politici affini, da idee e propositi di palese impronta sardista, dalla consapevolezza che solo i sardi, rivendicando nuovi spazi di libertà e partendo dai propri interessi, possono dare soluzione ai problemi della Sardegna. Queste formazioni sono per ora solo una maggioranza possibile, data dalla somma delle loro specifiche e singole forze. Una maggioranza che può tuttavia diventare effettiva se sulle singole soggettività prevarrà una ragione di gran lunga più rilevante. Questa ragione è l’interesse comune.

Non c’è alcun dubbio che questo sia destinato ad accadere. Forse non domani e certo non in modo spontaneo. Forse solo attraverso un processo laborioso. Ma le imprese non si affrontano perché sono semplici o perché possono dare risultati immediati. Si affrontano perché sono giuste e perché sono necessarie. E per quanto questa impresa sia difficile il fattore determinante del successo sarà crederci. Adoperarci con determinazione e con fiducia. E con la certezza che noi, e chiunque si adopererà con noi, quali che saranno gli esiti di questo percorso, ne trarrà giovamento e sarà ripagato dal consenso dei sardi.

Io sono certo che se da questo congresso emergerà in modo limpido e risoluto la nostra volontà di adoperarci per promuovere la ricomposizione della vasta area del sardismo e per riportare in primo piano i grandi obiettivi che da sempre sono alla base dei nostri programmi, il nostro Partito ricomincerà a crescere.

Questo percorso è già stato intrapreso. Questo è il percorso che abbiamo sostenuto in questi mesi. A Nuoro a Olbia, a Oristano, a Cagliari e in molte altre situazioni, in cui abbiamo promosso incontri e confronti con gli esponenti dei gruppi sovranisti e indipendentisti e di diverse liste civiche. Questo percorso risponde a un attesa già manifesta, diffusa e condivisa.

Gli esiti elettorali di Sardegna Possibile a cui è stata capace di pervenire in pochi mesi l’amica Michela Murgia lo dimostra. Alla Murgia è dovuto il riconoscimento di avere compiuto passi di grandissimo rilievo in questa direzione.

Il successo clamoroso che noi abbiamo riportato nelle ultime elezioni amministrative a Nuoro evidenzia che la convergenza è possibile e vincente.

Lo dimostra anche quanto è accaduto e accade fuori dalla Sardegna, in altri paesi come la Scozia e la Catalogna, dove le forze indipendentiste prima divise e in lotta le une contro le altre si sono finalmente unite e hanno conseguito successi travolgenti.

Uniti possiamo vincere. Uniti possiamo finalmente dare alla Sardegna un futuro diverso.

Voglio anche dire che nel processo di convergenza per il quale ci adoperiamo non sarà nei nostri intendimenti esercitare un’egemonia. Il nostro interesse deve essere la crescita di tutti. Noi dobbiamo considerare la crescita e i consensi di tutti e di ciascuno come un nostro successo.

Questo non significa affatto che rinunciamo a svolgere un ruolo di guida. Al contrario. Significa essere consapevoli che per concorrere in modo determinante alla convergenza, nessuno e neppure noi può essere mosso da presunzione. Significa che occorre essere tanto risoluti quanto attrezzati e direi “armati” di equilibrio e di saggezza. Essere capaci di dire quanto di ascoltare.

Non ci spaventano le riserve di chi ci rimprovera di non essere abbastanza “di sinistra”. Soprassediamo su quale significato possa ancora avere attribuirsi delle etichette ideologiche. E vediamo invece quali sono i nostri fondamentali, chiari e irrinunciabili valori di riferimento. Con la sinistra storica abbiamo sempre avuto un punto sostanziale di divergenza. Noi siamo stati sempre contrari ad ogni forma di omologazione. E siamo sempre stati sostenitori e più che mai siamo ancora sostenitori e fautori del valore dell’identità. Un valore universale, che riguarda i popoli e gli individui, la società, la lingua, la storia e la cultura.  Che riguarda gli esseri umani così come ogni manifestazione e testimonianza della vita, del paesaggio e di ogni più minuta essenza della natura.

Un valore che costituisce il fondamento e la premessa indispensabile allo sviluppo e al benessere, ad una crescita che si fondi durevolmente sulle prerogative, ovvero sulle vocazioni, sulle effettive potenzialità, sull’identità materiale e immateriale di un popolo e di un mondo.

Dal riconoscimento dell’identità scaturisce il rifiuto di ogni soluzione artefatta, di ogni snaturamento e violenza. E nella fattispecie il rifiuto di quelle scelte che purtroppo si è tentato di imporre alla Sardegna nelle trascorse stagioni impiantando industrie del tutto scollocate, inquinanti e fallimentari, in urto con l’ambiente e con la cultura.

Su questo valore la nostra divergenza con la sinistra storica è certamente esistita e non potrebbe che essere confermata la dove tornassero a riproporsi, sui tanti temi che riguardano gli indirizzi dello sviluppo, economico, sociale e culturale.

Ma sui valori sociali, cari amici, nessun motivo può essere accampato per muoverci rimproveri o per giustificare il sussistere di divisioni. Perché da sempre il nostro Partito si è battuto per il lavoro, per l’uguaglianza, per la parità delle opportunità, contro ogni forma di razzismo e discriminazione, per affermare gli stessi diritti degli uomini e delle donne. E soprattutto per difendere e tutelare in primo luogo i diritti dei più deboli e dei più bisognosi.

Questi valori sono enunciati a chiare lettere fin dal 1921 negli atti fondativi del Partito Sardo. E sono ribaditi chiaramente nel nostro attuale statuto, all’articolo 4.

Dunque, se su questi valori dovranno esserci riflessioni critiche e autocritiche, credo che dovrebbero riguardare soprattutto quei sardisti che sentono ancora il bisogno di definirsi “sardisti di sinistra”, sebbene i sardisti siano già in se e da sempre schierati a favore della giustizia sociale. Non c’è contrasto tra i valori del sardismo e i valori sociali della sinistra. Il contrasto c’è stato e continuerà ad esserci ogni qual volta nella sinistra dovesse tornare a riproporsi un sentimento anti identitario.

Io credo che a nessuno debba essere chiesto di produrre delle abiure o di rinnegare il proprio passato. Anche se tutti, e certamente anche noi, abbiamo più volte commesso degli errori.

Io e tutti noi abbiamo sentito giudizi ancora pieni di acrimonia nei confronti di Emilio Lussu. Chi più di noi dovrebbe avere ancora dei risentimenti nei confronti dell’uomo che, in un momento cruciale della storia della Sardegna, riconosciuto da tutti i sardi come l’eroe e il leader tanto atteso, non volle essere interprete e guida del riscatto?

Nessuno più di noi soffrì quella scelta di Lussu. Nessuno più di noi subì la lacerazione dolorosa della sua uscita dal Partito nel 1948. Ma noi oggi riconosciamo che Lussu era e resta un uomo straordinario. Riconosciamo che a seguito di un cammino condiviso egli maturò visioni e risoluzioni diverse dalle nostre. Quelle scelte ci hanno ferito e indebolito, forse sono state di pregiudizio per un altro corso che la storia della Sardegna avrebbe potuto avere. Ma in definitiva sono state le sue scelte, quelle in cui lui credeva. E ritengo che oggi debbano essere storicizzate e trasformate in un motivo costruttivo per guardare al futuro.

Io credo che rivolgendoci a coloro che sono con noi dentro questo partito e a coloro che pur condividendo i fondamenti del sardismo stanno fuori da questo partito, occorra soprattutto essere animati da un proposito di comprensione. Dalla volontà di riconoscere e far prevalere quanto di meglio e di più condivisibile vi è anche negli altri. Guardare dunque all’essenza di quanto può e deve unirci per l’affermazione di una grande causa condivisa.

Sappiamo che vi sono battaglie che possono e devono essere condotte nell’ambito delle facoltà di cui già disponiamo. In questo periodo abbiamo intrapreso azioni importanti contro gli ingiusti sbarramenti della legge elettorale italiana e a favore del riconoscimento della Sardegna come minoranza linguistica storica. Lo abbiamo fatto in virtù dei trattati europei, della Costituzione italiana e di leggi italiane che ce ne riconoscono il diritto.

Ma altre battaglie richiedono una libertà decisionale radicalmente maggiore. Lo ribadiamo ancora più chiaramente nel momento in cui il Governo italiano si adopera per svuotare di poteri anche quella imperfetta autonomia che la Sardegna conquistò nel 1948.

La libertà che oggi occorre alla Sardegna può essere chiamata vera autonomia, sovranità, autodeterminazione o indipendenza. Il nome che il Partito Sardo, fin dalla propria costituzione e in modo inequivocabile, ha dato a questa necessaria libertà è scritto nell’articolo 1 del nostro statuto. Questa libertà si chiama “indipendenza”.

E’ tuttavia certo che nel percorso di convergenza con le forze che muovono dai nostri stessi sentimenti e che tendono ai nostri stessi obiettivi noi non ci fermeremo alle formule. Non ci divideremo sulle parole. Perché guardiamo alla drammaticità e all’urgenza dei problemi. Perché quello che vogliamo è poter decidere del nostro futuro, ovvero essere nelle condizioni di dare soluzione ai problemi che affliggono la nostra terra. E soprattutto, per dirla in termini positivi, dare alla Sardegna un futuro di benessere, condivisibile e desiderabile da tutti.

Noi perseguiremo questa indispensabile condizione di libertà nel modo più responsabile. In modo democratico. E promuovendo quanto prima e con la massima condivisione di tutta l’area sovranista e indipendentista una vasta consultazione popolare.

Noi siamo anche consapevoli che il passo contestuale e necessario al raggiungimento dell’indipendenza è convenire un nuovo progetto di governo della Sardegna. Perché l’indipendenza non è un obiettivo che valga per sé stesso. Non è un titolo o un simbolo. Non è neppure una conquista che si possa perseguire senza essere preparati a gestirla. L’indipendenza è lo strumento del cambiamento. E’ la condizione che occorre alla realizzazione di un progetto politico importante e complessivo.

Un progetto che deve essere prefigurazione visibile della Sardegna che vogliamo e che i sardi attendono. Un progetto che deve riguardare gli indirizzi dello sviluppo, le funzioni del territorio, la relazione tra i centri urbani, i trasporti e la distribuzione dei servizi, il regime fiscale, la promozione dei nostri prodotti nel mercato globale, la cultura e la lingua, la possibilità effettiva di generare sviluppo e lavoro in armonia con le risorse e l’identità sociale e naturale.

La Sardegna come una sola città. “Villaggio elettronico”, come profetizzava il grande e amato Michelangelo Pira, ma anche materialmente collegata al mondo esterno e collegata al proprio interno. La Sardegna con una Capitale che sia tale, aperta al mare e all’entroterra.

Il nostro territorio non è, come è stato storicamente rappresentato, un impedimento allo sviluppo, un retaggio di cui disfarsi, da svendere o da inquinare in cambio di infimi e miserabili vantaggi. Il nostro territorio è un bene che può e deve essere messo a frutto.

Su questo progetto, in gran parte già delineato, ma ancora da corroborare con nuove idee, dovremo lavorare, impegnare le migliori intelligenze, stabilire con le forze politiche a noi vicine la massima condivisione e ottenere dai sardi il più vasto e consapevole consenso.

Da questo progetto affioreranno ancora più chiaramente le ragioni e le forme dell’indipendenza necessaria.

Un primo obiettivo che proponiamo a tutti e che condivideremo con tutti, affinché tutti possano esserne pienamente partecipi, è realizzare presto un grande convegno di idee, di sogni e di progetti.

Un convegno che riaccenda l’immaginazione e la speranza dei sardi. In cui tutti noi, “i politici”, per una volta staremo seduti ad ascoltare le voci più libere e più elevate della cultura. Scienziati, filosofi, letterati, artisti e anche poeti. Per ampliare, rinnovare e rendere ancora più desiderabili le nostre prospezioni. Per ridare pienamente senso, ragioni e passione all’azione del sardismo.

Poi tornerà ancora a noi la parola, per dare strumenti e concretezza a questo progetto.

Per procedere su questa strada esiste anche un altro ordine di problemi su cui voglio richiamare l’attenzione di questo Congresso. Problemi che riguardano la vita e l’organizzazione interna del Partito. Poiché ogni credibile progetto di cambiamento presuppone la propria disponibilità a cambiare e rinnovarsi.

C’è una domanda che oggi dobbiamo porci. La stessa domanda che si pongono tanti sardi che guardano a noi con speranza e non di meno con preoccupazione. Perché tante tempeste? Perché tante ricorrenti lacerazioni in seno al nostro partito?

Altre volte sulle ragioni delle divisioni in seno al Partito Sardo sono state date spiegazioni di segno fatalistico. E’ stato detto che le ragioni sarebbero storiche, culturali e perfino antropologiche. Più volte si è detto che il Partito Sardo sarebbe predisposto alle divisioni poiché più di altri partiti rifletterebbe il temperamento dei sardi che sarebbero per loro natura individualisti e incapaci di concorrere a una causa collettiva.

Io sono del tutto convinto che questa ragione è falsa. Non solo perché le divisioni e i conflitti, come ben sappiamo, sono tutt’altro che estranei agli altri partiti, sardi e italiani, ma perché in tante occasioni storiche, laddove mutavano le condizioni contestuali, i sardi si sono rivelati fortemente coesi. Orgogliosi della propria appartenenza. Tra loro solidali e assieme capaci di imprese straordinarie.

Io sono certo che se in particolari circostanze, in situazioni di particolare oppressione e sofferenza, è più facile che prevalgano le divisioni, è tuttavia certo che queste non sono e non possono essere considerate una malattia inguaribile.

Dopo essere stato testimone e partecipe per circa sei mesi della vita e delle vicissitudini interne a questo partito, ho potuto constatare che la ragione, forse la ragione principale di tante tensioni e divisioni è soprattutto un'altra.

Certamente l’affievolimento della tensione ideale che sta a noi rinvigorire. Ma anche il fatto che il partito è prigioniero di una struttura organizzativa inadeguata, sproporzionata rispetto alle dimensioni del territorio su cui dobbiamo operare.

Una struttura organizzativa che da mezzo e strumento di supporto all’azione politica rischia di diventare la ragione e il fine della stessa azione politica.

E’ sotto i nostri occhi quanto il partito, anziché espandersi e proiettarsi all’esterno, sia dedito a un lavoro e a una lotta per controllare se stesso. Le relazioni tra le varie istanze del Partito o le endemiche ricorrenti incertezze relative ai tesseramenti e ai meccanismi di delega, comportano per il Partito uno lavoro e uno sforzo debilitante. Sono fonte di inutili quanto deleterie tensioni e divisioni.

Da quando nel 1921, quasi un secolo or sono, in tempi e circostanze storiche del tutto diverse, il Partito Sardo si diede una organizzazione, che già allora era di derivazione militare, quella organizzazione ha moltiplicato le proprie istanze. Le federazioni da tre sono diventate otto e sono state progressivamente appesantite da ulteriori funzioni e organi di controllo. I centri di gestione anziché essere semplificati e snelliti si sono moltiplicati.

Eppure la Sardegna, pur con tutte le differenze tra i propri territori, è molto più coesa di quanto lo fosse allora. E soprattutto è una e unitaria la causa per la quale occorre adoperarsi

Ora non intendo addentrarmi su questo tema e tanto meno pretendo di improvvisare delle soluzioni. Ma vi invito a riflettere su quanto potrebbe migliorare la vita del partito per effetto di una semplice riforma che riguardi, ad esempio, le modalità del tesseramento.

Con le stesse forme di adesione attualmente in vigore, senza modificare niente che riguardi i principi e le regole statutarie, con gli stessi criteri e la stessa quota associativa, individualmente o per gruppi, i tesseramenti potrebbero essere effettuati in via informatica, in modo del tutto chiaro e privo di incertezze.  Mettendo fine, per sempre, a molte inutili controversie.

La mia proposta è che da questo Congresso, oltre alla definizione di un indirizzo politico, scaturisca il proposito di dare vita quanto prima a una conferenza che esamini la possibile semplificazione della struttura del Partito in funzione dell’esigenza del Partito stesso di aprirsi e crescere, di diventare pienamente quello che deve essere, un partito forte e dinamico, dedito soprattutto all’azione esterna, capace di accogliere i tanti sardisti che dal partito si sono allontanati e in grado di incidere sui destini della Sardegna.

Cari sardisti, concludo questo intervento proponendo alla vostra attenzione i risultati di un lavoro che ho svolto assieme all’amico Salvatore Cubeddu, Presidente della Fondazione Sardinia, che quest’anno ha ripreso la tessera del Partito.

Si tratta della ricostruzione degli esiti elettorali del partito dalla sua nascita ad oggi.

Un patrimonio di dati, straordinariamente prezioso e interessante, da cui emergono le linee di crescita e di decrescita del partito nel corso di quasi un secolo.

Da questi dati trapelano anche i sentimenti dei sardi. Le risposte che i sardi hanno dato alle nostre scelte e alle nostre proposte. Perché la crescita o la diminuzione del consenso è in evidente relazione con situazioni storiche contestuali ma anche con le proposte politiche che il partito ha espresso nel corso della propria esistenza e che di volta in volta hanno trovato maggiore o minore consenso.

Sono quattro le grandi linee di demarcazione della crescita e della decrescita.

Queste linee coincidono con momenti storici di grande crisi e cambiamento a cui si accompagnano le diverse risoluzioni e vicissitudini del Partito. Le cito ora brevemente, per il senso politico che credo se ne possa dedurre.

La prima grande crisi è alla fine della prima guerra mondiale. Nel 1919, quando per la prima volta si costituisce la Lista Elmetto, e nel 1921 quando si costituisce il Partito Sardo d’Azione. Alle politiche del 1919 la Lista Elmetto ottiene in Sardegna il 23,9 % dei consensi. Due anni dopo, nel 1921, il neonato Partito Sardo d’Azione ottiene il 36 % dei consensi assestandosi come il primo e più forte partito della Sardegna.

La proposta politica è radicale. Impegnare gli ex combattenti e mobilitare i sardi per combattere una nuova guerra, questa volta in Sardegna e per la Sardegna, per realizzare il riscatto dell’Isola attraverso l’indipendenza statuale.

Dopo tre anni siamo già in regime fascista. Il partito subisce la defezione dei sardo fascisti, illusi di poter ottenere dal regime dei vantaggi per la Sardegna, e nel 1924 il PSdAz perde oltre il 50% dei voti. Per oltre vent’anni quelle elezioni politiche saranno le ultime.

Dobbiamo attendere un’altra grande crisi, un’altro drammatico dopo guerra, per arrivare a nuove elezioni. Sono le elezioni provinciali del 1948 a cui, un anno dopo, nel 1949, per la prima volta dopo la costituzione della Regione Autonoma della Sardegna, seguono le elezioni regionali. Il Partito sardo è ancora un partito forte ma i suoi consensi si attestano tra il 10 e l’11%.

Da quel momento per oltre vent’anni il Partito Sardo condividerà il governo della Sardegna con la Democrazia Cristiana e i consensi andranno via via scemando fino a toccare il minimo storico nel 1974. L’Autonomia, nel 1974, ha già mostrato i suoi limiti. La politica dei grandi poli industriali è già chiaramente fallita. E nelle elezioni regionali del 1974 il Partito Sardo vive il momento più drammatico della propria storia arrivando al 2,59% dei consensi.

Ma è allora che i sardisti reagiscono e prendono definitivamente le distanze dalla Democrazia Cristiana. Lo slogan diventa “mai più con la DC”. Si rinverdiscono gli ideali, si intraprende un nuovo percorso e il consenso torna a crescere. Alle regionali del 1979 è al 3,33%. Alle provincali del 1980 sale al 5,67 %. Alle politiche dell’83 il Partito sfiora il 10%.

E nel 1984 il Partito è al 13,7%.

Da quel momento seguiranno altre alleanze, un progressivo offuscarsi delle ragioni di fondo della causa sardista e un nuovo lento declino che giungerà con alterne vicende e oscillazioni fino ad oggi.

Questi dati dovranno essere oggetto di studio e di riflessione approfondita. Ma c’è un senso che già traspare chiaro e inequivocabile. Un senso che ci richiama fortemente alla nostra ragione d’essere. Il Partito soffre e perde consensi quando gli ideali si intiepidiscono, quando il Partito si confonde con partiti che gli sono lontani, quando smarrisce se stesso nell’ordinaria amministrazione del potere.

Il Partito cresce invece quando è coraggiosamente se stesso, quando confida nei propri ideali, quando è unito e solidale al proprio interno, quando si fa risoluto interprete delle attese di cambiamento dei sardi.

Essere liberi non può significare muoversi senza bussola. Non può significare oscillare tra una e l’altra parte politica per perseguire modesti e occasionali interessi. Questa falsa libertà di deviare dalla nostra missione e dalla nostra fede politica è stata alla base di quei lunghi e dolorosi periodi di decrescita del partito. Essere liberi, cari amici, vuol dire ritrovare il nostro orgoglio, tornare a essere interpreti dei sentimenti e dei bisogni dei sardi e con risoluzione tornare a dare loro speranza. 

Concludo ricordando quella che forse è l’eredità più preziosa che ho ricevuto da mio padre, Michele Columbu. Un eredità che non mi è stata trasmessa a parole ma da qualcosa di cui fui inaspettatamente testimone. Mi accorsi un giorno che tanti altri si rivolgevano a lui come un padre e che lui si rivolgeva a quei tanti con lo stesso affetto che aveva per me. In quel momento provai sulle prime un senso di smarrimento. Ma come? Non ero io il suo solo e amato figlio? Ma subito dopo mi sentii pervaso da una grande e meravigliosa consapevolezza. Poter guardare a quei tanti come a dei miei fratelli.

Con lo stesso sentimento, di affetto e di comune, profonda e indissolubile appartenenza, credo che noi tutti dovremo sempre guardare gli uni agli altri.