Il tragico destino degli Istituti bancari della Sardegna, il ruolo della “Fondazione” e l’imbarazzante silenzio della politica

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La riforma di governo delle banche popolari tocca uno dei punti più delicati del rapporto tra economia e democrazia. Urge riflettere seriamente, soprattutto per quel che molto da vicino ci interpella!

Le banche in Sardegna sono nate come punto di libertà e di autonomia della regione, con intenti mutualistici, solidali, cooperativi, di servizio alle imprese del territorio.

Cosa sta succedendo? Appare evidente che il sistema finanziario cerca liquidità e le banche popolari sono forzieri che fanno gola. Ma quanti miliardi di euro contano? Il cittadino comune, le famiglie virtuose, le micro-imprese non lo sanno, il mondo bancario si.

Fino a che punto i cittadini possono lasciarsi ingannare? Voler approfondire il discorso che circola molto tiepidamente, (quasi sussurrato con discrezione per non disturbare “autorevoli” sfere) , per esempio sui destini della partecipazione azionariada oltre 350 milioni di euro che la Fondazione detiene nel Banco di Sardegna, non è da mettere in relazione con alcuna morbosa curiosità verso il “privato” di qualcuno, bensì un atto responsabile di chi ha ben presenti gli interessi generali  della Sardegna e desidera in tutti i modi tutelarli.  Quei milioni, infatti non sono privati, sono soldi  “pubblici”, appartengono a tutti i sardi.

Impossibile ricevere informazioni dirette dagli ambienti interessati,  si é infatti costruito, inspiegabilmente un muro di silenzi e di impazienze. Il nostro intento è però solo quello di conoscere due cose importanti, la  prima, se la Fondazione ritiene sempre strategica la partecipazione nel Banco di Sardegna per il suo ruolo nella società sarda. La seconda, se intende recuperare il ruolo attivo di azionista, frenando lo strapotere finora messo in atto dalla Bper.

Riteniamo doverosa una risposta, non foss’altro perché la Fondazione non è “Proprietà Privata” di questo o quel politico di turno, ma rappresenta responsabilità pubbliche in capo ad un patrimonio che è della collettività dei sardi che di conseguenza, esige doverosi e puntuali riscontri relativi alla sua gestione. Nonostante risulti essere sotto stretto controllo di esponenti politici di lungo corso, particolarmente esperti, la Fondazione è direttamente chiamata dalla legge, e dalle autorità ministeriali di vigilanza, ad orientare i suoi interventi verso ben precisi settori d’interesse generale e ad eludere, inappropriate forme d’investimento.

La Fondazione sarda, si colloca fra quelle che dovrebbero essere chiamate a difendere l’autonomia ed il radicamento territoriale . In questo caso il Banco di Sardegna di cui è azionista. Attualmente molti segni inducono a ritenere che quell’autonomia non sia più fattiva, e che il Banco sia ridotto a semplice esecutore delle decisioni strategiche assunte a Modena. Effettivamente è facile dedurre che il direttore generale del Banco altro non sia che un sottoposto dell’omologo della “Grande Bper”. E perciò ad esso debba “rispondere” prima ancora che al CdA del Banco.

Se queste considerazioni rispondessero a verità, si dovrebbe evincere che si siano verificate importanti mancanze, o significative omissioni,  o comunque scarsi ed imprudenti cali d’attenzione, da parte della Fondazione, nei doverosi compiti di vigilanza e di tutela dei propri interessi, che il ruolo di azionista del Banco richiede. Oppure, quanto rilevato potrebbe invece essere dovuto ad una decisione responsabile e ponderata assunta da quella parte di politici consenzienti che oggi controlla da vicino la Fondazione e ne dovrebbe condividere motivazioni e accordi oltre che cariche.

Nemmeno su richiesta vengono fornite poi, informazioni e chiarimenti su come verrà realizzato l’invito del ministero dell’Economia a dover limitare l’investimento nel Banco ad un terzo del valore del proprio patrimonio. Ad oggi, risulta che la quota azionaria risulterebbe superiore a quel limite. Operazione questa che, se attuata, dovrà rispettare gli accordi sottoscritti nel 2013 con la Bper, e tuttora vigenti, che così recitano: «qualora la Fondazione intenda trasferire in tutto o in parte le proprie azioni essa dovrà offrirle a Bper che potrà esercitare il diritto di opzione all’acquisto dell’intero quantitativo di azioni offerto». A ciò si aggiunge che, in mancanza di quella prelazione, i potenziali terzi acquirenti dovranno comunque sottostare «al preventivo gradimento della Bper».

E’ corretto ricordare che questa clausola, insieme a tutta l’operazione bancaria aveva suscitato la severa e solitaria critica del Psd’az. in Consiglio Regionale che, senza giri di parole, aveva chiesto duramente alla Fondazione e al Presidente della Regione Sardegna di chiarire pubblicamente le ragioni che l’avevano indotta a concedere questo vantaggioso regalo al socio modenese e ad istituire in Consiglio Regionale un’apposita commissione d’inchiesta. Purtroppo anche allora il muro del silenzio ebbe il sopravvento. (Interpellanze N. 395/C-3 18 febbraio 2013 e N.246 del12 marzo 2013)

Dobbiamo quindi tener presente che da allora le azioni che si deciderà di cedere dovranno essere prioritariamente offerte alla Bper. Per questa banalissima ragione crediamo che sia necessario porsi una domanda:quanto varrà, allo stato attuale, la partecipazione della Fondazione nel capitale del Banco di Sardegna?

Si dovrebbe trattare complessivamente di  550 milioni “contabili”.

A questo punto le domande sarebbero tante e non peregrine, o fuori luogo, giacché non si vorrebbe assistere ad una replica di quanto accaduto nell’operazione Sardaleasing, in cui la valutazione venne fatta, pare,  a condizioni particolarmente favorevoli alla Bper  da un advisor rimasto peraltro innominato forse perché non del tutto indipendente..

Le richieste di chiarimenti sono poi pertinenti, perché, è opportuno  ribadire che anche il peso della Fondazione, pari ad un 49% costituisce parte integrante del patrimonio di proprietà della comunità dei sardi, e ad essa la Fondazione è chiamata a risponderne. Certo, i quesiti dovrebbe ragionevolmente metterli la politica sarda, precisamente la Regione, nella massima espressione del suo Presidente. E, principalmente, il partito di maggioranza, quello che occupa il potere in Regione e in Fondazione, attraverso i suoi autorevoli rappresentanti.

Il sistema imprenditoriale sardo, è molto diverso da quello continentale. E’ costituito per quattro quinti abbondanti da piccole imprese (sotto i dieci addetti), con un’altissima presenza di imprese familiari (max tre addetti), generalmente caratterizzate da un rapporto squilibrato tra capitale proprio e a debito. Si tratta di capire se, attualmente, questo mondo di microimprese necessiti o meno di una banca che ne sappia recepire la domanda di credito e ne sappia interpretare correttamente le modalità per un possibile positivo accoglimento.

La risposta che un pool di economisti dell’Università romana “La Sapienza” ci fornisce sull’argomento è questa: «Occorre affermare, una volta per tutte, che senza un efficiente sistema creditizio ‘local oriented’ non vi può essere né progresso e né crescita nei territori caratterizzati da un sistema di piccole unità produttive di monoazionisti» . Con l’aggiunta di un ulteriore chiarimento: «le banche locali, infatti, rappresentano le istituzioni maggiormente in grado di, e interessate a, valutare le capacità e le prospettive di crescita di queste micro imprese locali, da cui per buona parte dipendono le possibilità di sviluppo delle loro economie. La convinzione, suffragata dall’esperienza sul campo, è che il loro radicamento territoriale e le “affinità culturali” che legano la dirigenza di queste banche all’economia locale, da un lato limitino i problemi informativi e consentano una migliore selezione ed un miglior controllo della clientela e, dall’altro, ne facilitino le modalità dell’appoggio creditizio proprio per la corretta conoscenza del suo operare».

Questo significa che una  valida e adeguata politica economica, volta allo sviluppo e preoccupata della crescita, dovrebbe potersi fidare di una banca con le stesse “affinità culturali” del sistema produttivo che deve servire. La nascita del Banco di Sardegna a metà degli anni ’50 del secolo scorso, era stata una conquista dell’autonomia conquistata dai sardi con lo Statuto speciale. Si era infatti avvertita l’urgenza di disporre di banche che operassero per il territorio, cioè a favore del suo progresso e non soltanto nel territorio per ampliare i propri affari (nacque il Banco per il credito ordinario, il CIS per quello agli investimenti e la SFIRS per il credito mobiliare, che rispondevano a questa fondamentale esigenza).

Il legame fra Fondazione e Banca, in difesa della gestione locale del credito e del risparmio, deve continuare a svolgere un ruolo inderogabile quale strumento privilegiato di progresso economico nel territorio. Questo é l’obiettivo “numero uno” da perseguire, questo è l’ allarmato appello in difesa del patrimonio “banca” che è di noi tutti . Le banche sarde non possono e non devono continuare ad essere facile e docile preda, spazio di conquista incontrastato per  ambizioni e rapine da parte di banche forestiere. Da sardi consapevoli e prudenti possiamo aver qualcosa da lamentare su una Fondazione che continui a mal - operare, ma saremmo comunque pronti ad acclamare se diventasse l’inflessibile sentinella della “sardità” del Banco. Una sentinella vigile e accorta non solo è auspicabile ma necessaria, affinché quelle “evasioni” non si ripetano più.

Certo, ormai “i buoi sono fuggiti dalla stalla”, e a tal proposito è sintomatica conseguenza il preannunciato funesto accorpamento della rete “Banca di Sassari” e “Banco di Sardegna” che prevede la chiusura di 130 sportelli (non si dice quali – mentre un comunicato stampa di matrice emiliana assicura “nessun taglio alle filiali” Quali? Le loro ? ) e 581 esuberi, viene detto in una, stringatissima ma significativa, riga e mezzo del nuovo Piano Industriale presentato il 11.02.2015. Questo pesantissimo dato sancisce la definitiva cancellazione di un pezzo di cultura e di storia di una realtà quale è stata la “Banca di Sassari” .  Sinonimo di attenzione, competenza e vicinanza al territorio. La Banca di Sassari ha dimostrato coi fatti di essere azienda capace, presente ed efficiente al servizio delle famiglie e delle imprese. La Banca di Sassari sarà cancellata con un colpo di spugna!!! Senza che la stampa e la politica locale ne facciano menzione.

Il decreto governativo ha inoltre previsto un passaggio apparentemente indolore, in realtà decisamente limitativo. Nella sostanza impone ad otto banche popolari cooperative, fra cui l’istituto modenese, di trasformarsi entro 18 mesi in SPA. Ciò comporterà una duplice conseguenza: 1) l’abolizione del  “voto capitario” (ogni socio un voto, indipendentemente dalle azioni possedute) su cui esse hanno costruito e difeso le loro governance di controllo, 2) l’apertura ad un processo di azionariato verso nuovi investitori, che potranno essere indifferentemente esteri o nostrani.

L’uomo al comando della Bper, Alessandro Vandelli, in un commento ha espresso i suoi timori e le sue contrarietà.  «L’abolizione del voto capitario per le banche popolari – ha spiegato – rischia di farci diventare preda dei finanzieri del private equity. Se fino ad oggi la presenza nel capitale di fondi e soggetti istituzionali (fondazioni) è stata poco incisiva poiché non si sono occupati granché della governance, ora lo scenario potrebbe cambiare radicalmente». A ciò ipotizza anche il pericolo d’una contendibilità borsistica della banca, favorita dal fitto passaggio di mano di azioni registratosi proprio in questi giorni.

Quale futuro, quindi, per il Banco di Sardegna? E di conseguenza, quale sorte la partecipazione azionaria che detiene la Fondazione? Ed infine, quale il ruolo che intende svolgere la politica sarda?

Con il fragile scenario descritto, la “Banca di Sassari” inesorabilmente sparirà entro brevissimo lasso di tempo, mentre il Banco di Sardegna rischia di perdere quel poco di identità regionale che gli è rimasta, se non addirittura di venire del tutto fagocitato da quelle trasformazioni strategiche innescate dal governo , il cui epilogo dai contorni poco chiari, sembra destinato ad un ulteriore, prossimo, tragico assemblaggio .

Noi riteniamo che tutte queste nefandezze non possono lasciare indifferente la Fondazione e, con essa, la politica sarda. Siamo dannatamente consapevoli che quanto si è ritenuto di dover supinamente subire in silenzio nel irripetibile anno 2000, non dovrà né potrà essere ripetuto. 

Carla Puligheddu – Presidente dell’Associazione delle Donne Sardiste (A.Do.S.)