La proporzionale etnica contro l’occupazione sistematica di non sardi dei ruoli dirigenziali pubblici

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Il recente scandalo del concorso per esperto in rendicontazione e per esperto amministrativo al Parco Nazionale dell’arcipelago La Maddalena, dovuto alla presenza ai primi posti di entrambe le graduatorie di parenti stretti e paesani del direttore dell’ente, il pugliese Ciro Pignatelli (nominato dal Ministero dell’Ambiente nel 2013), ripropone l’annoso problema dell’occupazione sistematica da parte di non sardi dei ruoli dirigenziali e gli altri posti “al sole” nell’ambito della pubblica amministrazione in Sardegna.

Più che annoso è un problema secolare, se si considera che uno dei motivi che spinsero i sardi a ribellarsi ai piemontesi nel 1794 e a cacciarli da Cagliari fu appunto il fatto che i posti dirigenziali venivano destinati quasi esclusivamente ai notabili torinesi, e poco restava ai padroni di casa sardi.

Nonostante il 28 di aprile di ogni anno si celebri solennemente quest’importante episodio della storia nazionale sarda, ad oggi pare che a tale problematica non si dia idonea importanza. I piemontesi sono nel frattempo diventati italiani, ma il risultato è lo stesso: non cessa l’occupazione dei posti più comodi, più sicuri e più remunerati da parte degli “accudidos”.

E’ una situazione che non può essere tollerata oltremodo, non fosse altro che la Sardegna sconta oggi tassi record di disoccupazione, livelli di inoccupazione giovanile mostruosi, e presenta un numero impressionante di laureati a spasso.

Non ci possiamo dunque permettere di concedere ai forestieri i pochi posti di lavoro derivanti dal terziario nella nostra isola.

Posti direzionali, di dirigenti e quadri, ruoli presidenziali e amministrativi di enti con sede in Sardegna devono essere dunque garantiti ai sardi, in primis. Se si fa una ricerca sommaria e approssimativa si nota invece che essi sono ad appannaggio di figli, amici, concubine di ministri, boss, pezzi grossi italiani.

E’ una paranoia sardista?

La realtà di questi giorni dice che non è assolutamente così.

E’ recentissima la chiosa del ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, riguardo il conflitto etnico in Ucraina, che ha proposto ai contendenti una “proporzionale etnica” simile a quella che esiste nel SudTirolo.

Provvedimento facente parte del SudTirol-Packet, intesa raggiunta alla fine degli anni 60 tra i governi italiani e austriaci che comprendeva 137 punti riguardanti la tutela dell’autonomia politica e linguistica dell’Alto Adige. Il percorso di attivazione di tutti i punti programmatici si è conclusa solo nel 1992, con l’emanazione delle leggi di tutela delle minoranze tedesca e ladina.

Ma è dal 1976 che è in vigore la citata “proporzionale etnica”.

Con essa, assieme al riconoscimento delle etnie tedesca e ladina, si prevede che i posti di lavoro pubblici siano riservati a cittadini appartenenti a ciascuno dei tre gruppi linguistici, in rapporto alla consistenza dei gruppi stessi, come risulta dalle dichiarazioni di appartenenza rese nel censimento ufficiale della popolazione (tranne che per le carriere direttive dell'amministrazione civile dell'interno, questura e commissariato del governo, per il personale della pubblica sicurezza e per quello amministrativo del ministero della difesa).

La distinzione etnica è utilizzata anche per le contribuzioni pubbliche (associazioni culturali o sportive) e l'assegnazione di case popolari. Nessuna rivendicazione xenofoba dunque, come qualcuno potrebbe pensare.

Anzi, il ministro italiano ha fatto tale proposta proprio per mitigare la tensione etnica manifestatasi nell’Ucraina orientale che potrebbe trasformarsi pericolosamente in conflitto di portata mondiale.

Una proposta di buon senso dunque, che i sardisti vorrebbero estendere anche all’etnia sarda, con l’estensione anche al complesso delle gare d’appalto riguardanti gli enti pubblici, che dovrebbero prevedere una premialità da acquisire in sede di graduatoria, a favore delle aziende sarde, e anche in caso di assunzione di personale residente in Sardegna.

Il primo passo dovrebbe essere la negoziazione con lo stato italiano del riconoscimento del popolo sardo come etnia culturale e linguistica, con il conseguente riconoscimento della pari dignità tra la lingua italiana e il complesso di lingue territoriali sarde (il sardo, il sardo-corso, l’algherese e il tabarkino). In conseguenza di ciò si dovrebbe determinare bilateralmente un pacchetto di provvedimenti simili a quelli in vigore a Bolzano, tra cui le proposte succitate, per permettere l’allocazione dei posti di lavoro pubblici in maniera proporzionale alla consistenza del gruppo etnico sardo rispetto al totale dei residenti in Sardegna e per garantire alle imprese sarde di poter accedere in maniera privilegiata alle gare d’appalto indette in Sardegna.

Come non è successo ad esempio nelle aggiudicazioni dei dieci lotti per la nuova Olbia-Sassari, dove le imprese sarde hanno preso appalti diretti per meno del 20% del totale, e le ditte aggiudicatrici continentali subappaltano (a prezzi da fame) ai piccoli imprenditori locali i lavori di cui hanno la titolarità.

S’intuisce facilmente che ciò non può rappresentare un modello di sviluppo ottimale e di prospettiva per la Sardegna.

Al contrario rappresenta il ripetersi di pratiche coloniali che marginalizzano i sardi in tutti quegli ambiti dove esistono alte remunerazioni.

E’ una situazione che hanno conosciuto i sardi del 18° secolo, e conoscono i sardi di oggi, con minime variazioni di spartito. E’ il caso di andare avanti in questa maniera? I sardisti ancora una volta indicano alla nazione sarda la strada giusta da percorrere.

Posto che Pigliaru e company non sono ne capaci e ne saranno disposti a seguire questo percorso virtuoso, a dolu mannu de sos sardos!