Subito l’istituzione della Stazione Appaltante Unica per la Sanità sarda

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Una delle piaghe del malcostume politico e della degenerazione del welfare è senza dubbio la gestione della Sanità.

Clientelismo, corruzione, favoritismi politici, sprechi e disservizi, uniti alla difficoltà di far quadrare i conti pubblici regionali, sono solo alcune delle macroscopiche evidenze che rendono indifferibile una profonda e coraggiosa rivisitazione della materia.
Oltre al taglio delle unità inutili, alla revisione dei tetti ai compensi dei manager, e all’accorpamento dei molti doppioni a carico del contribuente, senza attendere i diktat di Roma potremmo sin da subito dare un taglio agli sprechi e aumentare le risorse per il welfare. Sinora gli alfieri del regime hanno provato a convincerci che con la politica dei tagli si finisce per tagliare servizi fondamentali a carico dei più deboli.

La sfida che noi lanciamo va nell’opposta direzione. Esatto: tagliare per aumentare gli interventi a favore dei più deboli.
Noi diciamo che esiste una soluzione tecnica, altrove chiamata “politica dei costi standard”, e che qui, più semplicemente, chiamiamo accentramento della spesa con l’istituzione della Stazione Appaltante Unica. La SAU, controllata direttamente dall’Assessorato competente o dalla Presidenza della Giunta, anche al fine di non moltiplicare le Agenzie, avrebbe il compito di accentrare su di sé tutte le domande di forniture accertate, e di procedere ad un unico ordine che avrebbe il risultato di tagliare radicalmente la spesa a servizi invariati.

Ciò contribuirebbe a eliminar le sacche del malaffare, annidate anche nei micro-appalti, ma soprattutto creerebbe di fatto una sorta di costo standard, che eliminerebbe i ricarichi sui piccoli ordini di settore e le sperequazioni tra costi effettivi e costi gonfiati.

E dove ci sono conti gonfiati c’è il malaffare.

Con le risorse risparmiate, che possono arrivare sino a 200 milioni di euro, la Regione potrebbe agire autonomamente sui livelli essenziali delle prestazioni, sui posti letto (che non sarebbero tagliati da Roma ma razionalizzati con la nuova iniezione di liquidità) e sulla efficienza del sistema organizzativo.

Certo, una riforma del genere, che si può fare in sette giorni lavorativi, tocca interessi forti e per questo, ogni volta che si parla di Sanità, emerge il silenzio assordante bipartisan su una materia che invece darebbe subito importanti risposte politiche e sociali. E quando non c’è il silenzio ci sono l’inerzia, la richiesta di riflessione, la promessa di porvi mano (ma nel quadro più generale della riforma del sistema). Risultato: con le casse regionali stremate da politiche succursaliste prone al governo amico, con una vertenza entrate anestetizzata da accordi supini, e con una esigenza vitale di dare risposte alla domanda di welfare, lo zelante governo dei professori approva subito misure a favore delle accedemie, ma si balocca a comprare tempo mentre il sistema sanitario è al collasso.

C’è poi una variante che giustifica l’immobilismo, e ha a che fare con la preoccupazione per la sorte dei piccoli fornitori isolani.

Niente vieta che si identifichi un limite di spesa ragionevole, sotto il quale le forniture di piccolo cabotaggio continuino ad essere affidate a soggetti locali o a PMI.

Ma, al di là di tecnicismi, deve passare questa nuova filosofia: la Sanità, che vale la metà di una Finanziaria regionale, da far west governato con sistemi apertamente clientelari e con sprechi fin troppo evidentemente funzionali alla corruzione politica, deve tornare ad essere il luogo della offerta di prestazioni sostenibili.

Noi non vogliamo diminuire i servizi, anzi vogliamo estenderne la portata. Noi vogliamo solo razionalizzare la spesa in attesa di una riforma organica.

Una classe politica davvero all’altezza della situazione e sensibile alla domanda drammatica di moralità nella gestione della cosa pubblica, dovrebbe porre mano alla SAU in tempi tecnici, senza paura di scontentare i soliti noti.