1. Skip to Menu
  2. Skip to Content
  3. Skip to Footer

Scuola: restano i vecchi problemi, ma non perdiamo per l’ennesima volta opportunità e risorse

Condividi

Il prossimo 15 settembre ricomincia la scuola in Sardegna.

La scuola è una spia molto indicativa sul livello di innovazione  e creatività di un territorio se capace di  intervenire in modo efficace, con gli strumenti adeguati, laddove si comprendono i veri problemi di un Popolo e di una generazione.

In Sardegna però la questione scuola si affronta esclusivamente con l’intervento intempestivo perché in alcune scuole ancora non si può entrare, con operai e ingegneri al lavoro per rifare il “look” agli istituti.

Dal canto suo, la giunta Pigliaru non ha ad oggi fatto pervenire nessun tipo di proposte e progetti per migliorare l’offerta formativa e far crescere realmente la scuola nell’isola.

Eppure la stessa Europa sembra venire incontro ai Popoli e alle nuove generazioni allorquando, attraverso la Programmazione 2014/2020 dei fondi strutturali e di investimento, ha previsto azioni in due ambiti specifici: sviluppo territoriale e promozione di progetti di sviluppo locale.

L’obiettivo era, evidentemente, quello di restituire attrattività ai territori anche attraverso la valorizzazione del capitale umano, naturale, culturale in chiave turistica, dei sistemi agroalimentari, con attivazione di filiere nelle energie rinnovabili e il rilancio dell’artigianato artistico sui mercati.

Nelle aree prescelte, il programma sperimentale diventerà operativo dal gennaio 2015 e l’intelligenza creativa sarà perciò fortemente interpellata ad elaborare proposte, idee, progetti.

Da parte nostra, speriamo soltanto che non si perdano, per l’ennesima volta opportunità e risorse.

E che, per semplificare il tema sullo sviluppo del turismo, il discorso relativo al mercato del lavoro sardo, non si riduca per l’ennesima volta all'affermazione "Sardegna isola di manovali e camerieri".

Dico questo, nonostante entrambe le professioni siano dignitosissime, e che anzi i camerieri vengono sempre di più dagli apprezzati istituti alberghieri dell'isola.

Anzi, a scanso di equivoci, noi tutti cerchiamo di mettere in evidenza le eccellenze della nostra isola, e proporre giovani sardi di successo nelle diverse arti e professioni, ma occorre, allo stesso tempo, capire e non sottovalutare il fatto che abbiamo un gravissimo problema formativo, ovvero un problema legato  al futuro dei nostri giovani e quindi della nostra terra.

E tale problema interessa le nostre scuole e le nostre università.

LaSardegna infatti si mantiene ai vertici assoluti in Italiaper dispersione scolastica, ha ilpiù alto numero di studenti che abbandonano la scuola prima del diploma.

Tra i ragazzi che cinque anni fa si sono iscritti in un istituto superiore, uno su quattro non ha terminato gli studi: il risultato è un esercito di settemila giovani sotto i diciotto anni che dal Nord al Sud della Sardegna viaggeranno nel mondo del lavoro solo con la terza media (la Sardegna “vanta” il numero più alto in Italia: 6.903 studenti pentiti e nella classifica regionale, in testa c’è Sassari, seguita da Cagliari, Oristano e Nuoro).

Inoltre, sono il 36,2 per cento i giovani che, pur iscritti a scuola, non arrivano alla soglia dell’esame di maturità, eppure tutti noi sappiamo bene che “Dispersione fa rima con disoccupazione”.

Tutto questo, senza considerare il crollo delle iscrizioni alle Università Sarde negli ultimi anni  accademici...

Una vera e propria emorragia, quella della dispersione scolastica, che ogni anno indebolisce il corpo sociale della Sardegna e ne riduce la capacità di competere sia a livello nazionale che internazionale, nella società della conoscenza.

Lo stesso ISTAT, a conferma di quanto detto, ci informa che laSardegna è la regione d'Italia con il più alto tasso di disoccupazione fra i giovani,con una percentuale del 44% (le province di Sassari, Cagliari e Medio Campidano sono rispettivamente prima, terza e quarta in Italia per disoccupazione giovanile).

Parlo sopratutto di giovani che stanno in casa fino ad oltre i 30 anni senza alcuna esperienza nel campo lavorativo.

Ma questa tragedia non sembra però essere vissuta come una vera emergenza dalla nostra classe politica, benché i dati ci dicono che specie in Sardegna l’istruzione scolastica a carico dello Stato non ha minimamente raggiunto i suoi obiettivi ma, al contrario, ha creato un forte disagio sociale con tutti i suoi effetti collaterali: rischio criminalità, costi per governo, regioni e comuni tra sussidi, progetti di occupazione, attività formative e di recupero per analfabetismo culturale e affettivo.

Per voler cercare una ragione di questa pericolosa deriva, l’associazione nazionale insegnanti e formatori, ha in proposito voluto ricordare che negli ultimi anni tutte le amministrazionicomunali sarde hanno speso sempre meno per l’istruzione, a differenza delle regioni di Centro e Nord Italia che hanno invece aumentato le risorse.

Il risultato più significativo è stata la dilagante disaffezione verso la scuola e le istituzioni, accompagnata, spesso e volentieri, da insuccesso e demotivazione, e mancanza di orientamento e informazione.

Per completare un quadro già fosco, aggiungerei infine,  che manca completamente un collegamento tra scuola e mondo del lavoro.

Altro aspetto non trascurabile, poi, è la diminuzione progressiva degli insegnanti, che ha avuto il suo peso determinante nell’involuzione delle rese scolastiche della Sardegna.

Eppure sembra che il ministero per l’Istruzione non ne sia al corrente poiché ogni anno decide una diminuzione delle cattedre assegnate alla Sardegna.

Sul tema, ovviamente, ci sarebbe tanto da aggiungere, ma un aspetto in particolare io credo che ci dovrebbe tutti indurre ad una particolare riflessione sulla lingua sarda.

Mi domando infatti, quanto sarebbe importante, utile e attraente per i nostri studenti addentrarsi con orgoglio e fierezza nel suo studio, praticando concretamente il bilinguismo.

Vorrei, a riguardo, invitare la sinistra sarda a riflettere, se non altro ricordando la significativa lezione di Gramsci : “È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse libe­ramente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini… “.

Un errore, questo, che è stato commesso tragicamente da numerose famiglie sarde, spaventate dal “rischio” di intralciare nei propri figli, l’apprendimento obbligatorio della lingua italiana.

Oggi, per fortuna, i tempi son cambiati; non dobbiamo dimenticare che la lingua sarda ha un formale riconoscimento giuridico e normativo sia a livello regionale con la Legge n.26 del 15 Ottobre 1997 sulla “Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna”, che a livello statale, con la Legge n.482 del 15 Dicembre 1999 riguardante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.

Ma favorirne più agevolmente l’insegnamento nelle scuole sarde, a mio avviso manca soltanto il recepimento formale di un trattato internazionaleconcluso a Strasburgo il 5 novembre1992nell'ambito delConsiglio d'Europa, e meglio noto come la “Carta Europea per le lingue regionali o minoritarie”.

Credo che su quest’ultimo punto debbano però esser tutti i sardi, indistintamente e nella massima unità di Popolo, a dover far sentire con convinzione la propria voce affinché l’Italia, dopo ben 22 anni di totale inerzia, faccia finalmente il proprio dovere.

Tando, ischiddamos tottus!!!

Condividi

Chirca in psdaz.net