L’oppio dei popoli dei mondiali di calcio non sempre funziona per tutti

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Il 7-1 subìto nella semifinale dei mondiali di calcio giocati in casa (che doveva essere per 200 milioni di brasiliani il penultimo passo della rivalsa per il Maracanazo del 16 luglio 1950, in cui la nazionale carioca perse in casa la finale mondiale contro l'Uruguay) sta assumendo le proporzioni di una vera e propria tragedia nazionale brasiliana.

La disfatta del Maracanazo del 16 luglio 1950 era infatti una ferita ancora aperta per il popolo brasiliano, ed a suo tempo fu anche causa di numerosi suicidi; una ferita che oggi porta tutto un popolo alla frustrazione più totale ed alla follia collettiva.

Ma ora, dopo questa premessa necessaria, arriviamo al punto del discorso: nel mio "pindacciare" minoritario contro la nazionale italiana, ho ricevuto critiche da parecchi sardi, poiché - a loro dire - ho voluto mischiare la politica (il mio status di indipendentista) con lo sport.

Comente a narrere: misciare su trigu chin su lozu!

Ma per fortuna, poi capitano i 7-1!

L'immensa vittoria della Germania è servita, appunto, a rafforzare i miei convincimenti sul fatto che un mondiale di calcio non è - sic et simpliciter – soltanto un evento sportivo.

Non è solo un innocuo diletto per la gente.

Rappresenta bensì ciò che al tempo degli imperi era la guerra: l'alimento ideologico con cui si saziava il popolino povero, affamato di cibo "vero".

Una vittoria al mondiale di calcio oggi "sazia" le masse quanto in passato una vittoria in guerra!

Altro che "solo sport".

Ciò a maggior ragione nei paesi latini come il Brasile, dove non si somatizzano le forti disparità economiche, la presenza di immense favelas ai margini di ogni metropoli, gli scandali legati alla corruzione della classe politica a tutti i livelli, mentre diventa un'indimenticabile tragedia il Maracanazo.

Eccessi inspiegabili, che con le dovute proporzioni mi ricordano le incoerenze di noi sardi.

Questo fare spallucce per ogni cosa ci capiti, come se fosse un disegno inevitabile del destino, e non causa dell'ignavia e dell'estrema leggerezza nel vivere, è tipico dei popoli latini, sardi compresi.

E allora ben venga una terapia d'urto come questo 7-1.

Ben venga che la nazionale del popolo pragmatico per eccellenza dia una lezione così forte.

Doveva essere proprio la Germania a dimostrare che il Maracanazo per i brasiliani è una pagliuzza rispetto alle enormi travi nell'occhio che essi inconsapevolmente hanno.

I tedeschi piuttosto avrebbero visto come una vergogna il non completare in tempo le strutture sportive, come è accaduto a Manaus e all'Arena di San Paolo, figuraccia mondiale di cui il popolo brasiliano non si è preoccupato, curandosi invece dall’onta del Maracanazo, ribattezzato a suo tempo "la nostra Hiroshima", con enfasi sproporzionata e fuori luogo.

Un po' come in Sardegna: l'Italia ci tratta da colonia, ci bombarda con i suoi giochi di guerra internazionali (i "giochi senza frontiere all'uranio impoverito"), chiude scuole e uffici nei paesi dell'interno, mette in dubbio la specialità della Sardegna all'interno dello stato italiano, tenta periodicamente di farci diventare pattumiera nucleare.

E i sardi?

Tutti pronti a festeggiare con i tricolori in piazza per le vittorie degli azzurri!

E quando gli fai notare la loro incoerenza, il mantra collettivo è questo: non si combina la politica con lo sport!

Alibi di basso profilo del loro scimmiottare acriticamente ciò che avviene nelle piazze italiche se la nazionale vince, ed assieme, totale incapacità a rinunciare alla festa collettiva, come i popolani medievali che nelle loro misere capanne sognavano di poter partecipare alla festa a castello!

Fortuna che questo mondiale ha dato spunti che vanno in direzione opposta: altro che solo sport!

Già detto del fatto che è un educativo contrappasso che sia stata l'efficientissima Germania, motore economico dell'intera Europa, a risvegliare dall'incantesimo gli assopiti brasiliani.

E' stato un analogo efficace paradosso che, in periodo di forti polemiche in Sardegna sulle distruttive servitù militari italiane, l'unico stato al mondo senza esercito, la Costa Rica abbia dato una sonora lezione di calcio alla nazionale italiana, evitando dunque il patetico corteo di tricolori a Teulada, a Perdasdefogu e in altre zone dove il drappo italico dovrebbe essere visto come il fumo negli occhi. E' uno sport, certo.

Ma pare che questa volta gli dei del calcio abbiano mandato dei segnali, soprattutto alle comunità che subiscono maggiormente quest’oppio dei popoli in salsa moderna.

Anche se, a pensarci bene, avrebbero potuto osare di più: far capitare un’Inghilterra-Argentina, a 32 anni dalla fine della guerra per le isole Malvinas, per far ricredere chi pensa che un mondiale di calcio sia solo un evento sportivo e niente più.