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“Su connottu” sostituisce il concetto di patria come bene assoluto?

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La Sardegna viene da tutti considerata una nazione mancata. Vale a dire un’entità geografica autonoma a causa di peculiarità storiche, linguistiche, culturali attribuibili alle genti indigene.

E spesso il nome della nostra isola viene associato alla Corsica, all’Irlanda, ai Paesi Baschi, alla Catalogna, tutte entità territoriali dove è marcato questo sentimento di autonomia e dove di conseguenza operano attivamente movimenti di emancipazione nazionale con notevole seguito politico.

La Sardegna fa’ eccezione a tale trend. Nonostante si avvertano diversità notevoli con l’Italia e con gli italiani, e nonostante tali diversità si siano sempre avvertite nei confronti dei dominatori di turno, non si è quasi mai creato in Sardegna un movimento popolare (che parta dal basso) avente come scopo l’indipendenza dell’isola, e la fine di qualsiasi dominazione o pretesa di dominazione da parte di altre nazioni.

Si è anche andati oltre: qualsiasi personaggio dotato di particolare carisma e onestà intellettuale che abbia nel corso dei secoli cercato di sollevare il popolo per l’ottenimento dell’indipendenza della Sardegna è stato in qualche maniera tradito dal popolo stesso, che non ha recepito l’idea rivoluzionaria poiché non la sentiva come propria, o perché aveva interessi materiali che andavano dalla parte opposta.

Personaggi come Giovanni Maria Angioy, Leonardo De Alagon, Francesco Cilocco, Francesco Sanna Corda – tutti più o meno convinti della necessità di liberarsi dal dominatore straniero – fallirono miseramente proprio per il tradimento o l’ignavia dei sardi, che non li seguirono nei loro tentativi.

Giommaria Angioy vide il suo sogno di arrivare a Cagliari da liberatore svanire per le defezioni del suo stesso esercito, forse non motivato come il suo capitano o abilmente corrotto da collaborazionisti filo-piemontesi timorosi di perdere i privilegi concessi dagli italici.

Dovette scappare dalla Sardegna e morì a Parigi poverissimo e solo.

Leonardo De Alagon, di famiglia iberica, dopo il fallito tentativo di unificare la Sardegna in uno stato sovrano, fu tradito dagli stessi sardi che intendeva liberare e fu consegnato agli aragonesi che lo imprigionarono fino alla morte.

Emblematica è la storia di Francesco Cilocco, e di Francesco Sanna Corda. Sbarcati dalla Corsica per far crescere la rivolta anti-piemontese che portò nel 1794 alla cacciata degli italiani da Cagliari, essi si accordarono con il famoso bandito Mamia e con altri oppressi della Gallura per ribellarsi al dominatore piemontese. Furono traditi dal bandito, che evidentemente non intendeva aggiungere al suo curriculum criminale un reato tanto “ignobile” come la ribellione allo stato sovrano (o forse da calcolatore non ne avvertiva nessuna convenienza) e dallo stesso popolo. Francesco Sanna combattè da solo contro le truppe savoiarde davanti agli stessi suoi uomini che nulla fecero per aiutarlo. Morì ovviamente in battaglia. Francesco Cilocco fu arrestato grazie a un sardo traditore che lo consegnò ai suoi nemici, e trasportato in sella ad un asino fino a Sassari. In ogni paese che veniva toccato da questo viaggio umiliante il patriota veniva sbeffeggiato e deriso dai suoi conterranei, seviziato e torturato dalle forze d’ordine tra l’esultanza del popolo per cui aveva lottato.

Questo è nel corso della storia il trattamento ottenuto dai patrioti sardi dai suoi stessi conterranei. E tale trattamento avviene ancora oggi, con il pubblico oblio al quale sono condannati questi personaggi, dimenticati dalla storia e dalle popolazioni.

E chissà quanti altri patrioti hanno subito simile sorte senza che le loro gesta siano arrivate ai tempi nostri, poiché la storia li ha ignorati come si fa per i personaggi negativi.

Di Vincenzo Sulis, altro sfortunato patriota sardo, imprigionato a La Maddalena, nessun maddalenino ricorda nulla nei racconti dei propri avi, tanto che più di un abitante dell’arcipelago dubita di un effettiva permanenza della persona in questione nell’arcipelago. E se non fosse per gli scritti di Pasquale Tola forse bisognerebbe dubitarne davvero.

Succede al contrario che figure equivoche e servilmente al giogo dei dominatori abbiamo avuto in Sardegna grande seguito popolare e siano ancora oggi ricordati.

Penso allo stesso bandito Mamia, che per il comportamento avuto con Cilocco e Sanna, in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe stato additato come vile traditore, e che invece viene ancora ricordato affettuosamente dalle genti di Gallura come onesto e giusto. Oppure come il marchese di Villamarina, simbolo della ferocia dei sardi nei confronti dei loro simili, perpetrata al fine di ottenere vantaggi materiali dai padroni forestieri, personaggio tra i più negativi che la storia sarda ricordi. Ebbene, tale personaggio era rispettato dalle popolazioni, e ancora oggi viene nominato come simbolo di emancipazione e come esempio di carriera politica. Tanto che invece di fare di tutto per dimenticare il suo ignobile nome e le sue vili prepotenze, esistono palazzi, località, addirittura nomi di vini e di aziende agrituristiche che portano il suo nome e che contribuiscono a rendere celebri gesta che invece dovrebbero restare celate tra le pieghe della storia sarda.

Avviene dunque che mentre in Corsica si santifica la figura di Pasquale Paoli, considerato il padre della patria corsa, in Irlanda i membri dell’IRA vengono chiamati emblematicamente “volontari”, in Scozia l’attore Sean Connery viene acclamato come salvatore della patria per le sue posizioni indipendentiste, in Sardegna chi promuove posizioni separatiste viene considerato un povero fallito, un cerca guai, un personaggio da escludere, da sbeffeggiare e addirittura con qualche problema mentale.

E’ nel corso della storia si è sempre manifestato tale atteggiamento, tanto che dopo i tentativi succedutisi nei secoli, subito dopo il prevedibile fallimento degli stessi, quasi tutta la popolazione prendeva pubblicamente le distanze da tali tentativi.

Fu dopo le rivolte anti-piemontesi di Cagliari che i sardi, per ripagare i dominatori dell’affronto subito, rinunciarono volontariamente a qualsiasi ogni loro specificità politica, chiedendo umilmente la completa fusione con la madrepatria piemontese e la rinuncia incondizionata a tutte le richieste di riforme avanzate qualche anno prima.

Ma perché questo atteggiamento, che stride in maniera netta con il sentimento popolare di orgoglio del proprio essere sardi?

Bisognerebbe chiedere aiuto ad un sociologo o meglio, a uno psicologo, per dare una risposta esaustiva. Tra le cause sicuramente un ruolo non secondario hanno due caratteristiche del carattere dei sardi, l’ignavia e l’individualismo.

L’ignavia, vale a dire l’incapacità di prendere una posizione netta circa situazioni che non interessano e non sono mai interessate ai sardi. L’individualismo all’ennesima potenza, che comporta una sorta di invidia nei confronti di chi – sardo come noi – riesce a prendere una posizione di comando, e che dunque viene riportato al livello – basso – di tutti, tramite la calunnia, il discredito e il tradimento, al costo eventuale, e calcolato, di creare danni e mancati avanzamenti per l’intera comunità. Ignavia che invece non si manifesta al momento in cui viene messo in pericolo la famiglia o il patrimonio, situazione in cui il sardo si è sempre caratterizzato per violente reazioni spesso spropositate rispetto al pericolo.

Ricordo ad esempio omicidi e inimicizie gravi per semplici sconfinamenti di pascolo, faide decennali per lavare onte familiari a volte futili.

Non è dunque ignavia congenita, bensì disinteresse vero e proprio, per un concetto – quello di patria – troppo collettivo per il carattere dei sardi. Disinteresse e ignavia che invece non si manifestano in caso si vada a toccare un bene meno collettivo, ma estremamente individuale, quale il patrimonio personale o familiare. Per “su connottu” si nota un attivismo simile a quello che corsi, catalani, irlandesi, baschi pongono in essere per l’emancipazione della propria patria, con annesso disprezzo per chi invece non ha la stessa determinazione nel difendere il proprio patrimonio (o la propria famiglia), considerato un pusillanime e deriso pubblicamente.

La stessa derisione che subisce chi invece porta tale attivismo a uno stato superiore, quello per la patria appunto. Ecco che i patrioti sono spesso derisi, considerati dei cerca-guai, dei perdi-tempo, delle persone che sprecano energie per difendere un patrimonio anche altrui e dunque – nell’ottica individualista del sardo – non meritevole di cotante attenzioni. Mentre al contrario si nota un malcelato e diffuso sentimento di ammirazione nei confronti di chi, spesso con mezzi illeciti, riesce a crescere l’entità del proprio patrimonio personale, meglio se a discapito di altri paesani o conterranei.

Si arriva al punto finale della questione: il concetto di patria, considerato come bene assoluto e per il quale si deve lottare strenuamente, per i sardi equivale a “su connottu”.

La Sardegna non è una patria unitaria, ma è composta da centinaia di migliaia di piccole patrie per cui il sardo singolo o il clan familiare lotta, si ingegna, si attiva alla stessa maniera in cui in Irlanda, in Catalogna, in Corsica, nei Paesi Baschi si fa per la propria nazione.

L’individualismo cronico, con la conseguente invidia, oltre ad essere il fattore determinante dello sottosviluppo economico isolano (tesi avvalorata anche da recenti studi economici) è anche il freno di qualsiasi emancipazione nazionale della Sardegna.

Siamo tutti molto orgogliosi dell’essere sardi, ma di più può l’eterna competizione tra di noi, cancro incurabile della nostra mentalità.

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