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Per condurre la Sardegna all’Indipendenza!

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Intervento del Capogruppo PSd’Az Christian Solinas alla Seduta solenne del Consiglio Regionale per le celebrazioni de “Sa Die de Sa Sardigna”.

Noi Sardisti molto abbiamo insistito perché quest’Aula fosse convocata oggi,  anche vibrando parole ferme contro una certa forma di rassegnazione che principia proprio dal considerare – non senza una spocchiosa presunzione intellettuale – come “rituali” e “celebrativi” gli appuntamenti di un Popolo con la propria Storia.

Ebbene colleghe e colleghi,

orgogliosamente rivendichiamo “Sa die de Sa Sardigna” come festa del Popolo Sardo, come momento esistenziale di questo Parlamento per riflettere su se stesso e sul suo “dasein” – direbbero i pensatori tedeschi – sul suo “esserci” oggi, sulle sue funzioni, sul ruolo al quale è chiamato nel restituire una prospettiva e un futuro a quest’Isola, necessariamente oltre la crisi e la disperazione del quotidiano.

Non è un esercizio sterile di retorica o un vezzo storiografico, ma la più concreta affermazione di un archetipo irrinunciabile: un Popolo che non abbia consapevolezza di sé, del proprio percorso esistenziale, che non riconosca le radici della propria storia non può solidamente fondare il proprio presente né costruirsi un futuro.

Ogni tempo ha il suo 28 aprile.

Ed oggi più che mai, attualizzarne i contenuti per strutturare una resistenza istituzionale e popolare ai modelli neocentralisti propinati improvvidamente dal Governo nazionale con il malcelato intento di sterilizzare il regionalismo costituzionale in generale e la specialità autonomistica nel particolare, diviene un imperativo categorico per tutti noi.

Questa terra ben conosce i soprusi e le ingiustizie, che non sono appannaggio dei secoli passati ma continuano senza sosta a declinarsi nelle vicende del presente.

Lo scippo delle risorse, la slealtà dello stato nel disattendere gli accordi e finanche le sentenze in materia  di compartecipazioni fiscali, l’anomala quantificazione del patto di stabilità; le servitù militari, industriali, ambientali; la negazione di rappresentanza in Europa; i continui tagli all’istruzione pubblica, la contrazione degli organici; il tentativo di cancellare la lingua e la cultura sarda in un crogiuolo che non ci appartiene: sono tutti argomenti dell’agenda contemporanea eppure non sono nuovi; sono gli argomenti di sempre, che restano tali, atavicamente irrisolti.

Mi sovvengono le parole del troppo spesso dimenticato magistrato di Ploaghe, Giovanni Maria Lei-Spano, che nella sua fondamentale opera del 1922, “La questione sarda”, ebbe lucidamente a scrivere:

<<Le promesse che i Governi hanno fatto all’Isola infelice non sono state mai mantenute. I Sardi quando la Francia repubblicana voleva sottoporre il mondo al suo volere, respinsero due suoi famosi tentativi di invasione: ne ebbero lode momentaneamente e promesse di pronto soccorso; passato il pericolo, si disse che la vittoria non al valore loro era dovuta, ma al caso ed alla forza dei venti!>>

Ed ancora: “abbiamo da lamentare il massimo taglieggiamento nei favori che lo Stato concede alle altre Regioni del Regno”…… “si può a ragione asserire che coteste due leggi …… furono la prima e deplorevole causa per la quale l’Isola nostra, essendo stata trascurata da principio in materia di lavori stradali, continuò ad essere dimenticata di poi…”.

Non vi ritrovate un’assordante assonanza con le problematiche odierne in tema di viabilità, la querelle con l’ANAS sulla S.S. 131, la 125 o la 195?

E’ tempo che dalla lezione della Storia si tragga una linea di condotta che deve vedere unito il Popolo Sardo.

Basta con le divisioni, con le cortigianerie ed il servilismo verso chiunque arrivi da questo mare che ci circonda: bisogna andare al cuore del problema e non perdersi nelle singole questioni.

Questo Popolo, Questa Terra, definita geograficamente dai millenni, ha diritto di governarsi, di compiere le proprie scelte entro il proprio peculiare perimetro culturale, linguistico, sociale e storico senza dover attendere le graziose concessioni di chicchessia: mai più servi!

E’ nell’insopprimibile anelito alla libertà che risiede il nostro impegno politico, il gravoso incarico che la storia ci affida: condurre la Sardegna all’indipendenza!

Indipendenza che non significa isolamento, ma migliore integrazione in una prospettiva europea di Popoli e non di banche, di stati centralisti ormai decotti, di interessi materiali senza verità e senza progetto.

La storia ci ha insegnato che nel dividerci abbiamo sempre perso, nell'affidare ad altri le nostre sorti ci abbiam sempre rimesso: solo nei momenti di sussulto e d'orgoglio in cui abbiamo unito le nostre forze abbiamo vinto: così con i francesi, come richiamato dal Lei-Spano; così in quel 28 aprile del 1794.

Signor Presidente, Onorevoli Colleghe e Colleghi,

il Partito Sardo d'Azione da oltre novant'anni guida un'avanguardia su questi temi ed ha generosamente contaminato la tavola di valori di numerosi partiti e movimenti, che hanno attinto al suo patrimonio di elaborazioni programmatiche e culturali.

Dinanzi allo scenario attuale, alla drammatica congiuntura che l'Isola affronta, la sfida di oggi è più che mai l'Unità: prima di tutto delle forze di ispirazione sardista, autonomista, sovranista, indipendentista, come presupposto per l'unità di tutte le sensibilità politiche e del Popolo Sardo.

Io credo, amici, che dovremo cominciare ad avviare un percorso di ricomposizione culturale, programmatica e politica di questo giacimento di passione, competenze, impegno. A partire dai grandi temi che ci accomunano, lasciando da parte le storie e le diatribe personali che possono aver diviso gli uomini ma non le idee.

Noi non siamo riducibili agli schemi della politica nazionale, non possiamo stare alla logica manichea del di qua o di là, perché abbiamo la responsabilità di una lotta di popolo innanzitutto, di liberazione popolare entro percorsi di legalità, alla quale siamo chiamati senza distinzioni.

E' per questo che oggi, in questa data simbolica, riproponiamo il progetto di legge sull'Assemblea Costituente del Popolo Sardo per rinegoziare il patto di coesistenza con la Repubblica Italiana e con l'Unione Europea e la Mozione sull'Indipendenza della Sardegna per arrivare ad un referendum che sancisca il diritto di autodeterminazione dei Sardi.

E lo facciamo, ripartendo da questa bandiera, la prima dei reduci del combattentismo che traducevano i bisogni, le ansie e le aspettative di un intero Popolo in un Progetto Politico universale, fondando ad Oristano il 17 aprile 1921 il Partito Sardo d'Azione.

Ripartendo da questa bandiera, cucita a mano da Marianna Bussalai, fulgido esempio di passione e impegno femminile di emancipazione e riscatto culturale e sociale, morta prematuramente a soli 43 anni nella sua Orani, dalla quale quasi mai si allontanò, costretta a casa da un male incurabile fin dalla tenera età.

Eppure da quella casa, la casa degli Angioy - proprio loro, perché un sottile filo unisce la nostra storia - Mariannedda e sos battor moros raggiunse coi suoi scritti, le sue lettere, le sue poesie tutto il mondo.

Fu lei a nascondere, da combattente antifascista, in una botola di quella stessa casa Emilio Lussu ricercato ed a salvargli la vita. A murare questa bandiera per salvarla dal sequestro e dalla distruzione.

Ebbe a scrivere all'indimenticato Titino Melis, già consigliere in quest'aula e deputato:"il mio sardismo data da prima che il Partito Sardo d’Azione sorgesse, cioè da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sardegna. Giunsi, che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte".

Io credo che oggi più che mai nelle coscienze di ciascuno, questo concetto trovi sempre più spazio. L'appartenenza al Popolo Sardo prima che l'appartenenza ai Partiti Romani e ad interessi lontani e perniciosi per l'Isola è quella che determina il brivido che tutti noi abbiamo sentito sulle note del nostro inno nazionale.

Serve il coraggio di emanciparsi completamente, di mettere da parte le militanze e lavorare su un grande progetto comune, perché - lo dico ancora una volta con le parole di Marianna Bussalai - "La sorte dell’aristocrazia d’un popolo schiavo è peggiore spesso di quella del proletariato d’un popolo libero".

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