Le nostre mummie e la riforma del Titolo V

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La parola crisi non ha necessità di essere spiegata, la conosciamo tutti; è entrata nelle nostre case in punta di piedi qualche anno fa e ci si è trovata talmente bene che non se ne vuole più schiodare.

I cinesi scrivono la parola “crisi” con un ideogramma che ha anche il significato di “opportunità“.

L’opportunità è ciò che il nostro partito può cogliere in questo grande momento di crisi.

Essa, nel nostro caso, è costituita dal patrimonio che già ci appartiene: siamo un partito indipendentista, siamo presenti nelle istituzioni, abbiamo un’ampia gamma di battaglie su cui di volta in volta puntare i riflettori. Battaglie quanto mai attuali, perché incentrate su problemi, purtroppo, mai risolti.

Coloro che credevano fermamente che l’amministrazione politica, economica e culturale della nostra isola si potesse gestire bene esercitando le prerogative dello Statuto Speciale, si stanno ricredendo, ma ancora non osano chiamare le cose con il loro vero nome.

Qua e la, da destra come da sinistra si levano voci allarmate, ma nessuno di coloro che sono andati ad amministrare il massimo organo istituzionale per noi, la Regione, osa metterlo nero su bianco e scriverlo a caratteri cubitali così come meriterebbe: L’AUTONOMIA È MORTA.

Chi l’ha uccisa non si sa, e non si sa neanche perché: i politici asserviti alle lobby dei partiti italiani?

Quelli troppo distratti? L’ignoranza?

Chi di noi ha subito un lutto sa benissimo che arriva un certo momento in cui ti devi staccare dalla salma di chi hai amato per una vita e seppellirla. Primo passo.

Secondo passo è l’elaborazione del lutto, più lunga di un funerale, più silenziosa, ma soprattutto più dolorosa ed infine, assolutamente necessaria per ricominciare.

Chi non ricorda gli ultimi giorni di Leonida Breznev che dal balcone del Cremlino agitava un braccetto intirizzito?

Molti ipotizzano che fosse già morto e imbalsamato da parecchi giorni. In ogni caso, vivo o morto era una mummia in mezzo ad altre mummie e la storia lo ha provato.

Come ogni antico popolo che si rispetti anche noi possediamo le nostre mummie: una di queste è appunto ”l’autonomia”.

Essa viene agitata quando serve e poi saldamente appoggiata agli sportelli di un armadio che contiene i suoi parenti scheletri.

Chi sono gli scheletri?

”Il grande piano di rinascita per la Sardegna” per esempio, che negli anni ’50 ci ha regalato l’industria petrolchimica della quale conosciamo tutti la storia, gli strascichi e le tragiche conseguenze che pagheremo ancora per chissà quanto tempo.

Un’altra “aspirante mummia” risiede nel più alto scranno della nostra massima istituzione ostentando calma e tranquillità anche di fronte alla pericolosissima riforma del Titolo V.

Qui arriviamo all’atto finale: si può dire che per l’autonomia della Sardegna, se qualcuno sperava ancora di salvarla, la riforma del Titolo V, fortemente voluta e discussa a tappe forzate dal Governo Renzi, sarà ”l’accabadora”.

Con un colpo di spugna, essa fa piazza pulita di tutto ciò che costituiva materia di concorrenza fra stato e regione e questo è un bene, ma lo fa in maniera talmente grossolana da cancellare interi commi riguardanti le competenze della regione in materia di istruzione, trasporti, turismo, lavoro…lasciando un vuoto che a questo punto mette in dubbio anche l’utilità di mantenere in vita la stessa istituzione regionale.

Dall’altra parte noi.

Noi, che siamo un partito ancora vivo nonostante l’età media non sia confortante e nonostante qua e la nelle assemblee, anche da noi, ogni tanto si affacci qualche benda già intrisa di formaldeide.

Noi, che a differenza dei “cugini” indipendentisti più radicali, abbiamo capito che i sogni si realizzano stando con i piedi per terra; noi che ci “contaminiamo” con i partiti italiani, noi che stiamo nelle istituzioni perché solo da li puoi essere incisivo; noi che conosciamo il percorso istituzionale delle riforme e delle proposte; noi che non sbagliamo indirizzo quando chiediamo la Zona Franca.

Noi che ce la possiamo fare. Insieme.